Offerta petrolio in crescita, nonostante bassi prezzi
A differenza della Russia, che ha attutito il crollo con le quotazioni con il deprezzamento del rublo, il cambio tra rial e dollaro è fissato a 3,75. Ciò impedisce all’Arabia Saudita di aumentare i suoi ricavi (prodotti in dollari) in valuta locale. L’unico modo che ha per cercare di porre un freno al deficit fiscale, oltre che tagliando la spesa pubblica e/o aumentando le altre entrate, è di accrescere la produzione di petrolio, che in effetti è salita di circa 800 mila barili al giorno in un anno, portandosi ai livelli più alti da almeno 32 anni a questa parte.
Poiché parliamo, però, del secondo produttore mondiale (primo tra i paesi OPEC), questa strategia sta tenendo bassi i prezzi del greggio. Questi ultimi sono legati al valore del dollaro, valuta in cui sono espressi. L’annuncio di nuovi stimoli da parte della BCE dovrebbe dare il via a una nuova ondata di rafforzamento del biglietto verde, che non farà certamente bene alle quotazioni delle
materie prime, in quanto abbassa la domanda dei clienti non americani. A ciò si aggiungano le difficoltà mostrate dalle economie emergenti proprio per la crisi delle
commodities e al rallentamento della crescita in Cina, che rappresenta l’11% della domanda mondiale di greggio. Il quadro che ne viene fuori non è incoraggiante per il Regno Saudita, tenendo anche conto che l’
Iran si prepara a sbarcare sul mercato a pieno ritmo, dopo la fine delle
sanzioni ONU a suo carico e già pratica politiche di sconto per sottrarre alla concorrenza, specie saudita, quote di mercato in Asia. Tra i benefici accordati da Teheran alla Cina e agli altri paesi acquirenti ci sono crediti a medio-lungo termine e spedizioni gratuite.