Crisi fiscale saudita non passeggera senza ripresa quotazioni
Si stima che Riad avrebbe bisogno di quotazioni a 106 dollari al barile per tenere il bilancio statale in pareggio. Il calcolo si basa su un livello di produzione pari a 9,7 milioni di barili al giorno. E’ chiaro che se questa aumenta, diminuisce il livello minimo necessario dei prezzi, affinché i conti pubblici del paese siano in equilibrio. E’ appunto quello che sta facendo il governo. Resta il fatto che in appena un decennio, l’incidenza del petrolio sul pil è scesa dal 50% al 30%, mentre le esportazioni di greggio oggi rappresentano il 28,5% del pil dal 49,5% del 2005, e le entrate derivanti dalla produzione e dalla sua vendita ammontano all’81% del totale dello stato, giù da quasi il 90% del quinquennio precedente. Non gioca a favore di Riad nemmeno il precedente di metà anni Ottanta, quando il prezzo del petrolio scivolò fin sotto i 10 dollari al barile, nonostante i sauditi avessero tagliato abbondantemente la loro offerta. La ripresa definitiva avvenne solo con la guerra in Iraq del 2003. Se è vera la previsione di Citigroup, secondo cui il 2015 rappresenta l’anno della svolta per l’energia nel mondo, venendo meno il ruolo dell’oro nero, gli sceicchi dovranno inventarsi qualcosa per evitare il tracollo finanziario del loro regno.