Il capo della guardia presidenziale Abdourahmane Tchiani si è autoproclamato presidente del Niger dopo avere guidato il golpe ai danni dell’ormai ex presidente Mohamed Bazoum. E’ stato l’ennesimo colpo duro per la stabilità nella regione dell’Africa sub-sahariana. C’è preoccupazione tra le cancellerie occidentali, dato che l’ex capo di stato nigerino era amico di Europa e Nord America. Anche perché l’area è turbata da tempo da golpe militari e sconvolgimento geopolitici. Basti pensare al Mali e negli ultimi mesi al Sudan.
Tunisia fresca di accordo strategico con Europa
Il paese nordafricano ha ricevuto nei giorni scorsi la visita della presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, del premier olandese Mark Rutte e della premier italiana Giorgia Meloni. I tre hanno garantito lo stanziamento di circa 1,15 miliardi di euro, un “accordo strategico“ legato al buon esito del negoziato con il Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ottenere prestiti per 1,9 miliardi di dollari.
Il presidente Kais Saied continua a rifiutare ogni condizione posta dall’istituto di Washington per l’esborso. Non ha intenzione né di ridurre i sussidi alla popolazione, che incidono per 5-6 punti di PIL, né di contenere la spesa per gli stipendi pubblici. Pensate che quasi un lavoratore su cinque in Tunisia è alle dipendenze dello stato. Senza gli aiuti dell’FMI il default sarebbe vicino. Non probabilmente quest’anno, anche grazie all’aumento delle entrate in valuta estera derivante dal boom del turismo. Nel frattempo, poi, l’importazione di energia è diventata meno costosa.
Saied guarda anche ai BRICS
Nell’intero 2023 la Tunisia dovrà rimborsare debiti per 21 miliardi di dinari, circa 7 miliardi di euro. Di questi, 12 miliardi (4 miliardi di euro) sono in valuta straniera. Ciononostante, Saied non corre ad accettare le condizioni dell’FMI.
Il blocco geopolitico che fa riferimento principalmente alla Cina non presta denaro a cuor leggero. Solo che Pechino non vuole farsi scappare l’occasione storica di sottrarre all’Occidente pezzi di Africa. Lo stesso sta facendo la Russia di Vladimir Putin, seppure sul piano militare e non finanziario. Il golpe in Niger è opera di Mosca, come negli altri stati della regione. I russi stanno destabilizzando l’Africa sub-sahariana per razziarla delle materie prime e sfruttarla come minaccia nei confronti della vicina Europa. Il Niger collabora da anni con l’Occidente contro il terrorismo islamista e per fermare il flusso dei migranti che si dirige verso la Tunisia o la Libia per imbarcarsi in direzione delle coste siciliane.
Tunisia ancora più indispensabile dopo golpe in Niger
Ecco la reazione a catena provocata dal golpe in Niger. Poiché rischia di saltare un altro tappo per arrestare gli sbarchi, la Tunisia diventa agli occhi dell’Europa ancora più indispensabile per evitare il caos nel Mediterraneo. Ma Saied batte cassa senza concedere nulla in cambio, almeno non sul piano finanziario. Il guaio è che l’FMI non può slegare i prestiti dall’imposizione di riforme economiche. Lo potrebbe fare, invece, l’Europa in forma di prestiti bilaterali o sussidi, così come avvenne sin dal 2015 con la Turchia per chiudere la rotta ad est dei profughi. Ma Ankara non aveva in corso una richiesta di sostegno all’FMI. Bruxelles non può interferire concedendo a Tunisi ciò che l’istituto non può per statuto. Se lo facesse, sconfesserebbe ciò che resta di Bretton Woods, l’insieme delle regole finanziarie che nel 1944 si diedero i 44 stati che avrebbero fatto parte del blocco occidentale.
Meloni ha chiesto anche nel suo incontro con il presidente americano Joe Biden alla Casa Bianca “pragmatismo” sulla Tunisia. Gli Stati Uniti non si fidano di Saied e, però, rischiano con questa diffidenza di regalare un pezzo di Nord Africa al nemico cinese. Non è facile districarsi in una situazione simile. Se fino a pochi giorni fa Saied non accettava di negoziare con l’FMI, figuriamoci adesso che è diventato più necessario che mai all’Europa. Soffierà sulle diverse necessità tra Stati Uniti ed Europa per spuntare le migliori condizioni possibili dal suo punto di vista. Ma il tempo stringe e una soluzione contro il default non s’intravede. E il collasso della Tunisia sarebbe solo l’ultima catastrofe di cui avremmo bisogno a poche centinaia di chilometri dalle nostre coste.