Quando parliamo di Silicon Valley, ci viene in mente un’area della California fortemente sviluppata e caratterizzata dalla presenza di innumerevoli aziende attive nel settore tecnologico, tra cui colossi come Google, Apple, Microsoft, Oracle, Amazon, etc. Modernità e nuove idee, spesso rivoluzionarie per i modi di vivere di miliardi di persone sulla Terra, sono i concetti che siamo naturalmente portati ad associare alla Silicon Valley. Eppure, potrebbe risultare piuttosto strano sapere che questi giganti dell’high-tech siano sospettati di essere fortemente sessisti e di praticare discriminazioni nei confronti di svariate minoranze. (Leggi anche: Disparità di genere al lavoro? Donne islandesi scioperano)
In questi giorni, sta facendo discutere il memo di un senior software engineer di Google (poco fa, l’azienda ne ha annunciato il licenziamento), rimasto anonimo, circolato tra le caselle di posta elettronica dei dipendenti del gruppo.
In esso, si fa appello alla società, affinché non ceda alle pressioni per ottenere sull’uguaglianza tra uomo e donna sul posto di lavoro, sostenendo che vi sarebbero “diversità biologiche” ad autorizzare una disparità di trattamento tra lavoratori maschi e lavoratrici donne.
Secondo lo zelante dipendente, l’uomo godrebbe di attitudini che lo porterebbero a diventare un programmatore migliore, mentre le donne sarebbero portare più a coltivare rapporti umani, ad essere interessate ai sentimenti e all’estetica, con la conseguenza che troverebbero più naturale lavorare nell’ambito artistico o sociale.
Google accusata di sessismo
Il memo si conclude con la richiesta a Google di “non offrire programmi di integrazione in favore delle minoranze e delle donne”, ma di limitarsi ad assicurarsi che ciascun lavoratore si senta a proprio agio.
Immediate le prese di distanza del nuovo vice-presidente della diversità e dell’inclusione del colosso informatico, Danielle Brown, secondo cui le vedute del dipendente non rispecchierebbero quelle dell’azienda. (Leggi anche: Lavoro da uomo e da donna: ancora pregiudizi di genere)
Sarà, ma la stessa Google è da tempo sotto i riflettori del Dipartimento del Lavoro americano, dopo un’indagine a campione svolta nel 2015 e nel corso della quale sarebbero emersi indizi su possibili disparità nel trattamento retributivo tra donne e uomini. Per vederci meglio, l’agenzia federale chiese l’anno successivo maggiori dati su 19.500 dipendenti, ma Google si rifiutò di trasmetterli, ritenendo che fossero sufficienti i dati relativi a 8.000 dipendenti. Ne è nata una querelle legale non ancora sopita, ma che evidenzia come il gigante tecnologico sembra avere qualcosa da nascondere, tanto che negli stessi mesi in cui è stata ingaggiata la battaglia contro il Dipartimento del Lavoro di Washington, è stata inviata ai dipendenti una sorta di avvertimento per email, che recita così: “Se stai prendendo in considerazione di condividere informazioni confidenziali con un reporter o altre persone esterne, per amore di tutto quello che è Google, ripensaci. Non solo rischi di perdere il posto, ma così facendo tradisci i valori che ci rendono una comunità”.