Il presidente americano Donald Trump ufficializzerà la nomina del prossimo governatore della Federal Reserve nei prossimi giorni, con ogni probabilità prima del 3 novembre, quando inizierà un tour all’estero. Ieri, ha incontrato l’uscente Janet Yellen e pare che il faccia a faccia sia andato piuttosto bene, aumentando le incertezze sull’esito delle consultazioni. Anche l’attuale governatore, infatti, risulta in corsa per un secondo mandato, cosa che sembrava impossibile un anno fa, quando il candidato repubblicano tuonava contro il numero uno dell’istituto nel corso della sua campagna presidenziale.
Premettiamo che Trump avrebbe giudicato tutti i suddetti nomi alla pari e sarebbe rimasto particolarmente colpito da Taylor e da Powell. Quest’ultimo sarebbe considerato il più papabile per la successione, al momento. Per lui si sta spendendo molto il segretario al Tesoro, Steven Mnuchin. La nomina di Trump dovrà essere ratificata dal Senato, riscuotendo almeno 51 voti a favore su 100. E stando ai sondaggi di queste settimane, tutti i candidati sopra citati sarebbero potenzialmente in grado di farcela.
Iniziamo dalla Yellen. E’ stata la vice di Ben Bernanke tra il 2010 e il 2014, prima donna a guidare la Fed con la nomina di Barack Obama nell’autunno di 4 anni fa. Vicina ai democratici, è considerata una “colomba” in politica monetaria. Il suo approccio al “tapering” è stato molto morbido, con un graduale ritiro dai tre cicli di “quantitative easing” degli anni precedenti e con la più lenta stretta sui tassi nella storia americana. Per questo, è sostenuta largamente a sinistra, ma risulta invisa alla destra.
John Taylor. Economista della Stanford University, è padre della cosiddetta “Taylor rule”, la regola sui tassi, che se applicata all’attuale situazione negli USA, porterebbe gli interessi fissati dalla Fed intorno al 2,5%, il doppio dei livelli odierni. Questo sarebbe il tasso neutrale, seguendo la formula, al quale l’economia americana andrebbe senza subire un’influenza di alcun tipo. Della cinquina, è considerato il più “falco” e contro la sua nomina si starebbero muovendo diversi boss di Wall Street, spaventati da una politica monetaria potenzialmente troppo restrittiva, che a loro dire farebbe male al mondo degli affari. La semplicità delle sue idee ha attirato Trump e tra i repubblicani risulta molto popolare, mentre prenderebbe pochissimi voti, forse nessuno, tra i democratici, i quali temono che la sua regola finisca per danneggiare il mercato del lavoro, a discapito dei disoccupati.
Gary Cohn. Non è un economista, bensì un banchiere, ex ceo di Goldman Sachs e attualmente a capo del Consiglio Nazionale sull’Economia, consigliere stretto del presidente. Le sue quotazioni erano altissime fino a fine agosto, quando l’uomo, di origini ebraiche, lamentò l’intervento debole di Trump contro i fatti di Charlottesville, durante i quali una ragazza è rimasta uccisa nel corso di una manifestazione dei cosiddetti “suprematisti bianchi”.
Kevin Warsh. Ex membro del board della Fed tra il 2006 e il 2011 e già banchiere di Morgan Stanley. Sarebbe un profondo conoscitore dei mercati, ma non un economista. I repubblicani chiuderebbero forse un occhio sull’assenza di forti credenziali, ma a sinistra si registra una forte campagna contro la sua nomina, essendo considerato un uomo della finanza. Da repubblicano, si mostra abbastanza favorevole alla deregulation finanziaria, cosa che piace a Trump e alla destra americana.
Jerome Powell. Sarebbe proprio lui in testa tra tutti. Repubblicano e membro attuale del board della Fed, la sua nomina per un mandato di ben 14 anni nel 2014 fu avversata da numerosi esponenti repubblicani, tra cui l’attuale capogruppo del GOP, Mitch McConnell. Parte della destra gli rimprovera di essere stato flebile nel contrapporsi alle richieste di maggiore regolamentazione bancaria e di avere sostanzialmente avallato la politica monetaria ultra-espansiva della Yellen. Tra i democratici, tuttavia, per le stesse ragioni prenderebbe parecchi voti e molti degli stessi repubblicani potrebbero convincersi a ratificare la nomina, confidando in un approccio non drastico in tema di tassi, cosa che aiuterebbe l’amministrazione a stimolare ulteriormente la crescita economica.