Giorgia Meloni si sta facendo sentire e vedere pochissimo, per non dire niente, dopo la vittoria alle elezioni politiche di domenica scorsa. Starà certamente riposando dopo il tour nello Stivale, ma in realtà sta passando molto tempo a studiare i principali dossier che dovrà affrontare una volta nominata premier e formato il nuovo governo. Può tirare un parziale sospiro di sollievo nel vedere che i mercati finanziari le hanno concesso una timida apertura di credito lunedì. Certo, lo spread è salito fin sopra 250 punti, ma nulla di eclatante e, soprattutto, vi hanno concorso anche altri fattori, tra cui la fuga dei capitali dall’Eurozona agli USA sui timori per la crisi energetica e il rialzo dei tassi FED.
Pressing su Panetta per l’Economia
Ma non c’è spazio per l’autocompiacimento. I mercati restano in attesa che si formi il governo Meloni, nutrendo aspettative e timori al riguardo. Le posizioni chiave (Difesa, Interno, Economia ed Esteri) saranno certamente concordate con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella. Soprattutto all’Economia guardano gli investitori per capire quale sarà la direzione della nuova maggioranza parlamentare su conti pubblici e riforme.
Ci sono già trattative sotterranee tra Meloni e Fabio Panetta, attuale consigliere esecutivo della BCE. La prima lo vorrebbe in via XX Settembre. Il secondo non appare convinto, desideroso di succedere a Ignazio Visco come governatore della Banca d’Italia alla scadenza del secondo mandato tra un anno. In alternativa, si fa il nome di Domenico Siniscalco, già ministro “tecnico” sotto il governo di centro-destra tra il 2003 e il 2004. Non fu una convivenza facile, allora.
Salvini nel governo Meloni?
Tecnico o politico che sia, il ministro dell’Economia dovrà apparire competente e con idee già note sulla politica fiscale. Niente personaggi euro-critici (ogni riferimento a Giulio Tremonti è voluto), né stravaganti nella gestione della spesa pubblica.
Non è solo il Tesoro nei pensieri di chi investe. Pensiamo al Ministero dello Sviluppo, attualmente guidato dal leghista Giancarlo Giorgetti. Deve gestire le crisi aziendali e imprimere una direzione circa la politica industriale dell’intero esecutivo. Serve un nome capace di trasmettere autorevolezza al mondo delle imprese e che si distingua per visione. Nel complesso, poi, la compagine dei ministri deve risultare poco incline alla demagogia spicciola. Insomma, un Matteo Salvini nel governo Meloni farebbe tutt’altro che bene sul piano dell’immagine. Se proprio dovesse esserci, i mercati preferirebbero che ricoprisse un ruolo minore.
L’alleanza con gli USA di Biden
E di fatti la premier in pectore non ha alcuna intenzione di affidare il Viminale all’alleato leghista. In un certo senso, l’esito di queste elezioni la aiuta. Il centro-destra ha vinto nettamente e trainata dalla straordinaria performance di Fratelli d’Italia, ma con la Lega ridotta all’osso e una Forza Italia più vigorosa delle attese. Il Carroccio non potrà pretendere troppo, anzi proprio Salvini è già “sotto processo” al suo interno tra i quadri di partito e i governatori. Al governo Meloni serve che il segretario sia non così forte da passare all’incasso sui ministeri più importanti, né troppo debole da destabilizzarne l’azione programmatica.
Infine, la linea atlantista ed euro-tiepida può risultare persino apprezzata alla Casa Bianca, dove il presidente Joe Biden ha bisogno di un’Italia a fianco degli USA contro la Russia, ma possibilmente non succube dell’asse franco-tedesco e dei suoi interessi. Meloni dovrà giocarsi proprio questa carta. Il suo governo dovrà essere percepito massimamente affidabile a Washington e non antagonista a Bruxelles. Anche in questo caso, la figura di Salvini sarebbe scomoda: gli americani non vogliono sentirne parlare per via dei suoi trascorsi filo-putiniani, le cancellerie europee lo detestano per il suo euro-scetticismo veemente e la vicinanza a Marine Le Pen in Francia.