Il Movimento 5 Stelle si sta sfarinando di giorno in giorno e dopo che il voto sulla piattaforma Rousseau ha bocciato la linea di Luigi Di Maio sulle elezioni regionali in Emilia-Romagna, si sono levate contro di lui tante voci critiche tra i parlamentari e che avevano fatto ipotizzare un cambio imminente di leadership. Ma l’incontro tra il portavoce nazionale e il fondatore dei 5 Stelle, Beppe Grillo, formalmente avrebbe rasserenato le acque. Il comico genovese ha di fatto “blindato” sabato sera il giovane campano, investendolo di un nuovo obiettivo: fare svoltare il movimento a sinistra, sostenendo che con il PD esistano “piani alti” da attuare tra “una destra pericolosetta e un PD senza piani”.
Movimento 5 Stelle finito, Rousseau umilia Di Maio e prepara la scissione
Per arrestare la sollevazione interna contro Di Maio, Grillo ha prospettato la nascita di un direttorio che lo affiancherà sulle scelte del partito. In esso vi sarebbero personalità come Barbara Lezzi e Alessandro Di Battista. La prima è la battagliera deputata pugliese contro ArcelorMittal e il secondo è sempre stato considerato il successore di Di Maio, sostenitore di una linea politica di sinistra, ma ostile più che mai all’alleanza con il PD.
Di Maio fa quel che può, ossia buon viso a cattivo gioco. Da un lato, annuncia che per rendere possibile la durata della legislatura fino al 2023, a gennaio presenterà un nuovo contratto di governo, dall’altro ribadisce che in Emilia-Romagna il suo M5S correrà da solo e sarà “l’anti-Lega”. La corsa solitaria dei 5 Stelle, che contrariamente alle sollecitazioni di Grillo non si alleerà con il PD di Stefano Bonaccini, indebolisce il centro-sinistra e rafforza la candidatura della leghista Lucia Borgonzoni, la cui coalizione per i sondaggi sarebbe di diversi punti avanti.
Di Maio punta a vendicarsi
Ma è quel “anti-Lega” a dover impensierire Nicola Zingaretti, perché nasconde un’insidia molto temibile per i democratici.
Di Maio va a destra (con Salvini) e i 5 Stelle a sinistra (col PD), divorzio vicino
Non esiste più il Movimento 5 Stelle, ma bene che vada ne esistono due: quello scopertosi filo-piddino di Grillo e che vede nel premier Giuseppe Conte il vero padrino della nuova fase e l’area anti-PD, non necessariamente di “destra”, che coltiva sogni revanchisti contro Palazzo Chigi e lo stesso Grillo, magari turandosi il naso dinnanzi al fallimento di Di Maio come leader. Quest’ultimo non ha sotterrato l’ascia di guerra contro il premier sul MES, la cui bomba è esplosa nel momento giusto, offrendogli l’occasione per rimarcare le distanze da quella parte iper-istituzionalizzata del movimento, capace di disconoscere tutte le battaglie passate in politica estera e di scavalcare lo stesso PD nella direzione di un europeismo tout court.
Grillo stesso, se potesse, manderebbe Di Maio a quel paese. Lo detesta forse persino umanamente, non avendo digerito di essere stato messo da parte da lui con la nascita del governo “giallo-verde”. Ma sa che le sue eventuali dimissioni da leader o, addirittura, il suo addio al movimento determinerebbero la fine del governo Conte-bis, che per il comico è rimasta ragione di vita.