Sarebbe dovuta essere una grande manifestazione contro il governo Meloni a distanza di otto mesi dalla sua nascita. Invece, la protesta organizzata dal Movimento 5 Stelle a Roma contro la precarietà si è rivelata un flop in termini di partecipazione. Appena diecimila le persone che hanno sfilato da Piazza della Repubblica fino a Largo Corrado Ricci. Non proprio un pienone. La bella giornata di sole dopo settimane di maltempo avrà persuaso i più ad andare al mare, ma alla fine ci ha pensato Beppe Grillo a rimettere a posto le cose.
Bufera al Nazareno, D’Amato si dimette
Salito sul palco, Grillo ha attaccato il governo di centro-destra a testa bassa. Ha difeso il reddito di cittadinanza e invitato i presenti e non a formare le “brigate di cittadinanza”, cioè a scendere in strada di notte e “con il passamontagna” per non farsi riconoscere e “fare alcuni lavoretti”. Il riferimento era ad un recente fatto di cronaca. Un cittadino lombardo è stato multato per avere riparato una buca davanti casa. Tuttavia, quel termine “brigate” associato al “passamontagna” ha rievocato un passato terribile del nostro Paese: gli anni Settanta delle Brigate Rosse, a cui si contrapposero le Brigate Nere e che tanto sangue hanno sparso per le strade delle grandi città nel Centro-Nord.
L’esortazione ha provocato un terremoto nel PD. Sabato, la segretaria aveva a sorpreso deciso all’ultimo minuto di andare alla manifestazione per lanciare l’immagine di un’opposizione unita. Un boomerang, alla luce di quanto accaduto.
PD sempre più diviso
Base Riformista dell’ex ministro Lorenzo Guerini è sul piede di guerra. Dal palco della manifestazione non si sono levate solamente parole discutibili in merito alle suddette “brigate di cittadinanza”. Ha parlato anche Moni Ovadia, che ha attaccato duramente il sostegno dell’Italia all’Ucraina anche sul piano militare. Schlein ha posizioni personali maggiormente in linea con questo pensiero, ma nel PD la sua linea non risulta maggioritaria. Cresce il dissenso interno e si rafforza l’asse di chi si oppone ad un’eventuale alleanza con l’M5S. Alleanza rispedita al mittente da Conte, che ha semmai aperto a possibili convergenze sui singoli temi. E sarà così fino alle elezioni europee tra un anno.
Grillo ha da un lato rovinato i piani di Conte, che cerca da tempo di darsi un’immagine di leader forte, rispettabile e autonomo dal fondatore pentastellato. Dall’altro, sta traendo giovamento dalle polemiche esplose nel PD sulle parole dell’ex comico genovese. In effetti, ne esce un’immagine di Schlein a pezzi, di leader tentennate, a capo di un partito diviso e senza posizioni chiare su tutto. Conte ne può approfittare per rilanciare il suo progetto di diventare un riferimento per il mondo progressista. Viene da ridere se pensiamo che in politica debuttò cinque anni fa da presidente del Consiglio retto anche dalla Lega di Matteo Salvini. Ma la politica è l’arte di rendere possibile l’impossibile.
C’è da scommettere che le recenti posizioni radicali di Grillo & Co siano volute. Conte che non partecipa ai funerali di Silvio Berlusconi compie un gesto inaspettato. Con questa mossa, si è distinto dal resto del parterre politico e, soprattutto, ha lanciato un messaggio chiaro a chi vota centro-sinistra: “guardate che l’unico duro e puro contro la destra sono io”. Schlein è tra due fuochi. Se si sposta troppo a sinistra, perde partito e consensi. Se persegue una politica centrista in linea con i predecessori, la sua segreteria non ha alcun senso e porterà consensi al mulino dei 5 Stelle.
Conte versus Schlein
C’è un ulteriore fattore di debolezza di Schlein verso Conte. La prima è stata eletta segretaria grazie ai voti di una base ideologizzata e con delimitazioni culturali ben definite. Il secondo è camaleontico per antonomasia. Può spostarsi a sinistra e a destra all’occorrenza senza perdere il rispetto dei propri elettori. L’M5S è un partito amorfo, anti-sistema. Si è buttato a sinistra da qualche tempo solo per assenza di spazi a destra. E mentre l’ex premier alza la voce e fomenta le piazze contro il governo Meloni, ciò non gli sta impedendo di trattare con esso sulle nomine RAI e persino sulla riforma costituzionale. Malgrado l’apparente chiusura alle proposte della maggioranza, egli punta a diventare il principale interlocutore del centro-destra, così da confinare il PD di Schlein ai margini del dibattito politico.
Dal canto suo, il governo ha tutta la convenienza a perseguire il “divide et impera” utilizzato come stratagemma sin dall’Antica Roma. Gran parte dei dem sta fiutando il rischio e spera che Schlein si riposizioni più al centro, anche per evitare la fuga di dirigenti verso altri lidi. Ora che Forza Italia è rimasta orfana del suo leader storico, volete vedere che qualche moderato del PD non trovi più imbarazzante rimpolparne le fila? E’ già accaduto nei mesi passati con il clamoroso passaggio di Caterina Chinnici e proprio per l’opposizione alla linea della nuova segretaria sui diritti civili.