Guadagnare meno se si lavora da dipendenti, potrebbe convenire. Sembra paradossale eppure, per certi aspetti, in Italia funziona proprio così. Ad approfondire le dinamiche alla base di questo processo, è una interessante analisi a firma di Natale Forlani (Il Sussidario), di cui riprendiamo i concetti fondamentali.
Tassazione progressiva sul reddito: meno si guadagna meno si paga
Un primo spunto di riflessione viene dalle tasse sugli stipendi, previste in modo progressivo per finanziare il welfare (in cui rientrano settori cruciali come scuola, sanità, assistenza e altri servizi pubblici rivolti alla comunità).
E’ vero che In Italia molti contribuenti onesti, dipendenti o pensionati, non solo pagano le tasse con aliquote progressive che mangiano fino al 48% del reddito (se si tiene conto anche di addizionali comunali e regionali), ma devono contribuite anche al pagamento di ticket e altri balzelli, in misura proporzionale al reddito, per poter avere libero accesso a servizi sovvenzionati in gran parte da loro stessi (basti pensare che il 12,8% dei contribuenti che hanno reddito lordo superiore ai 35 mila euro concorre da solo al 60% delle entrate Irpef). Quello che succede è che molti redditi bassi che hanno diritto ad alcune prestazioni gratuite, si ritrovano di fatto a poter contare su un reddito effettivo superiore rispetto a coloro che, invece, pur non essendo definiti ricchi, sono stati chiamati a contribuire ai suddetti servizi con il pagamento di tasse e tributi. La penalizzazione riguarderebbe i ceti medi. A questo punto sarebbe meglio guadagnare meno e avere certi servizi gratuiti?
Bonus sugli stipendi medio-bassi: guadagnare meno conviene?
Un discorso con effetti simili riguarda alcuni bonus, in primis il bonus Renzi in busta paga o il bonus bebè, riconosciuti solo sotto una certa soglia di reddito.