Godiamoci la pioggia dei bonus di questi mesi, perché inizieremo a pagarli prima di quanto pensiate. Il Ministero dell’Ambiente ha dato il via a una consultazione pubblica per decidere se eliminare i sussidi dannosi per l’ambiente, così come da lavoro svolto dalla Commissione interministeriale per lo studio e l’elaborazione di proposte per la transizione ecologica. Tra questi, vi rientrano le minori accise imposte dallo stato sul gasolio o diesel rispetto a quelle gravanti sulla benzina. Sappiamo, infatti, che per ogni litro di benzina paghiamo 72,84 centesimi di accise e per ogni litro di diesel ne versiamo 61,74 centesimi, 11,10 centesimi in meno.
Aumento delle accise sul diesel una “gretinata” che costerà soldi e inquinerà di più
Ebbene, nel caso in cui il governo ipotizzasse l’eliminazione dei sussidi dannosi per l’ambiente, il diesel finirebbe nel mirino, essendo una tipologia di carburante ritenuta più inquinante della verde. In realtà, a farne le spese non sarebbero solo gli automobilisti, ma anche i cantieri che impiegano il gas naturale per lavorare, i produttori di magnesio ad oggi esenti dalle accise, etc.
Concentriamoci sulle auto. Poiché sulle accise grava anche l’IVA, se per il diesel pagassimo quanto la benzina, oltre agli 11,10 centesimi in più al litro che dovremmo sborsare, ci sarebbe per l’appunto l’imposta sul valore aggiunto. Il conto finale per l’automobilista lieviterebbe a 13,5420 centesimi al litro. Ipotizzando un pieno da 50 litri, la stangata media sarebbe di 6,77 euro, quanto una settimana di caffè al bar.
Un costo pluri-miliardario
Sul piano macro, i conti sono presto fatti. Lo scorso anno, i consumi di gasolio per auto in Italia sono stati pari a 23 milioni di tonnellate. Considerando che ogni kg equivale a 1,20 litri, otteniamo che abbiamo immesso nei serbatoi delle nostre auto qualcosa come 28,68 miliardi di litri di diesel. A consumi invariati, lo stato incasserebbe 3,88 miliardi di euro in più ogni anno, circa lo 0,217% del pil del 2019.
Diesel in caduta libera: nel 2019 stop alla crescita dopo più di 10 anni
La crisi del diesel si deve alle misure già annunciate dagli stati in tutta Europa per combattere l’inquinamento e che prevedono in futuro il divieto di circolazione delle auto alimentate con questa tipologia di carburante. Di fatto, chi oggi acquista un’auto con motore diesel rischia di rimanere a piedi da qui a non molti anni. Ma la stangata si rivelerebbe pesante per gli automobilisti italiani, che dopo questa crisi si ritrovano già con minori disponibilità di reddito. Se la misura riguardasse, ad esempio, anche il settore dell’autotrasporto, a farne le spese sarebbe quasi certamente il consumatore finale, vale a dire l’acquirente dei prodotti trasportati su gomma, tra cui gli alimentari freschi, a cui verrebbero scaricati i maggiori costi. Non proprio una grossa mano al made in Italy, né alla ripartenza dei consumi. Ai prezzi medi nazionali di ieri, il fisco incide per oltre il 61% del prezzo della benzina e per il 56% di quello del diesel. Evidentemente, allo stato non basta.