Nelle ultime due settimane, gli sviluppi relativi alla politica commerciale degli Stati Uniti hanno suscitato molte preoccupazioni sui mercati finanziari. In effetti, il commercio internazionale è uno dei pilastri della “crescita globale sincronizzata” – uno dei temi principali che ha guidato i mercati azionari negli ultimi 6 mesi.
Le tariffe introdotte dall’amministrazione Trump – ed un eventuale guerra commerciale – pregiudicherebbero significativamente la crescita nel medio termine, nonché le istituzioni che hanno favorito lo sviluppo del commercio internazionale (es. WTO), uno dei driver principali della crescita mondiale (la somma di import ed export equivale circa al 50% del PIL mondiale) – dicono gli analisti di Marzotto Sim – .
I dazi di Trump su acciaio e alluminio
La scelta di Trump di introdurre le tariffe su acciaio ed alluminio e di restringere gli investimenti cinesi in aziende ad alta tecnologia sembra avere due scopi principali:
- Far fronte alle promesse fatte durante la campagna elettorale a difesa di settori che hanno sofferto significativamente la globalizzazione – obiettivo di matrice populista (assumendo che siano disponibili altre politiche per aiutare i lavoratori di queste industrie).
- Difendere la tecnologia americana, settore fondamentale sia per l’economia reale che il mercato finanziario statunitense.
Il secondo obiettivo è stato messo in particolare risalto durante la conferenza stampa, durante la quale si sono alternati prevalentemente Trump, Lighthizer (rappresentante commerciale) e Ross (segretario al commercio). In particolare, a differenza di Trump i due consiglieri hanno parlato più di tecnologia e disponibilità al dialogo, piuttosto che soffermarsi sul disavanzo commerciale degli Stati Uniti. Le stesse tariffe su acciaio e alluminio potrebbero infatti essere un modo per contrattare con la Cina (che oramai per evidente convenienza è una dei principali promotori della globalizzazione) su temi più delicati, come il furto di proprietà intellettuale e la questione nordcoreana.
Seguendo questa ipotesi – osservano dall’ufficio sudi di Marzotto Sim – ora sta al governo cinese decidere se rispondere con delle contromisure mirate (già precedentemente annunciate), oppure cercare la soluzione cooperativa, magari venendo in contro alle richieste degli Stati Uniti – evitando così una guerra commerciale.
La Cina
In quest’ottica, è fondamentale considerare l’oramai consolidato potere politico di Xi Jinping, il quale gli consente di prendere decisioni da statista, che puntano allo sviluppo di lungo termine, piuttosto che alla pancia dei cittadini. Inoltre, la forte influenza del governo cinese sui canali informativi interni potrebbe consentire al governo di chiudere un accordo con gli Stati Uniti e farlo passare comunque come vincente.
La soluzione cooperativa potrebbe essere però effettivamente quella vincente, come del resto lo è in ogni “dilemma del prigioniero” (esempio usato in teoria dei giochi che rappresenta molto bene una guerra commerciale). Pertanto, la risoluzione delle tensioni commerciali potrebbe essere un’ottima opportunità per la Cina e per la sua corsa alla leadership mondiale. La visita di Kim Jong Un a Pechino, che sembra aver dichiarato di essere disponibile alla denuclearizzazione, potrebbe essere invece il primo passo per iniziare a cooperare con gli Stati Uniti.