Lo spread è sceso ieri sotto i 90 punti base, cosa che non accadeva dal marzo 2015. Anzi, ha battuto di poco quel dato di 5 anni fa, facendoci tornare indietro di oltre un decennio. Merito del neonato governo Draghi, che sta rassicurando i mercati finanziari circa il futuro dell’Italia nell’euro, abbassando ulteriormente il rischio politico. Il calo dei rendimenti sovrani lungo la curva delle scadenze rispecchia il rialzo dei prezzi dei BTp. In una fase, in cui i capitali si stanno muovendo a caccia di occasioni più redditizie per fronteggiare il rischio reflazione, il nostro mercato sovrano appare appetibile, esibendo rendimenti più elevati che altrove.
Di particolare interesse si mostrano i titoli di stato con cedole elevate. Si tratta di bond emessi molti anni fa, quando i tassi di mercato erano ben superiori a quelli attuali, specie in Italia. Un esempio ce lo offre il BTp dicembre 2023 e cedola 8,5% (ISIN: IT0000366721), che debuttò come trentennale, essendo stato collocato dal Tesoro nel lontano dicembre 1993. Pensate che alla guida del governo vi era allora lo scomparso Carlo Azeglio Ciampi. Un tasso così alto ormai oggi è impossibile trovarlo presso i mercati avanzati ed è molto raro persino su quelli emergenti. Se pensate che la scorsa settimana il rendimento medio delle obbligazioni corporate “spazzatura” in dollari negli USA sia sceso sotto il 4% per la prima volta nella loro storia, capite quanto inusuale ormai sia imbattersi in queste maxi-cedole.
Questo BTp ha fruttato il 10% netto in meno di due anni con la maxi-cedola 8,50%
Ipotesi di investimento per il BTp dicembre 2023
Supponiamo di puntare su questo BTp per approfittare del rialzo tendenziale dei prezzi e dell’alto tasso offerto. Avrebbe senso comprarlo per tenerlo in portafoglio almeno fino alla prossima data di stacco della cedola? Per capirlo, partiamo da una premessa: il titolo in questione ieri offriva il -0,78%.
Se decidessimo di tenere il BTp dicembre 2023 in portafoglio fino al 22 giugno prossimo, data in cui verrà staccata la cedola semestrale, otterremmo il 4,5% nominale, ma su un titolo pagato 1,27 volte il suo valore nominale. La cedola effettiva lorda scenderebbe al 3,54%. A questa dovremmo sottrarre il rateo passivo che pagheremmo al venditore e che coprirebbe i quasi due mesi di interessi da questi maturati. A quel punto, la cedola effettiva lorda scenderebbe intorno al 2,35%. Al netto dell’imposizione fiscale del 12,50%, farebbe il 2,07%. Tanto è quanto incasseremmo dal solo tasso d’interesse. Non sarebbe male per poco più di 4 mesi di investimento. Ma dovremmo auspicare di poter rivendere il bond almeno allo stesso a cui lo avevamo acquistato. Tuttavia, una quotazione di 127 in data 22 giugno 2021 corrisponderebbe a un rendimento del -1,81%. Con tutto rispetto per le proprietà taumaturgiche di Mario Draghi, il Bund su queste scadenze offre il -0,70%. Dunque, sarebbe impossibile per l’Italia ambire a un calo del rendimento a livelli così bassi.
Se dovessimo ipotizzare, invece, che il rendimento da qui al pagamento della prossima cedola rimanga almeno uguale, la quotazione dovrebbe scendere in area 123,50, cioè accuseremmo una minusvalenza del 2,75%. Essa supererebbe il guadagno del 2,35% lordo offertoci dalla maxi-cedola, per cui avremmo investito in perdita. Chiaramente, può accadere anche che il rendimento del bond scenda ancora un po’, ovvero che la quotazione si contragga meno di quanto sopra ipotizzato.