Se non si considerano i proprietari di casa e i costruttori che, grazie al Superbonus, hanno ristrutturato o ricostruito casa, il resto degli italiani non ha un’opinione positiva sul 110. A partire dal governo in carica, che non ha mai nascosto l’avversione nei confronti dell’iniziativa tanto voluta dai 5S e ora si trova costretto a fare i conti con le spese.
Come da copione, essendo in Italia, una simile agevolazione, che di fatto partiva da una nobile e utile idea, si è trasformata in un enorme giro di soldi.
Questo è ovviamente andato a discapito di tutti quei cittadini onesti che avrebbero dovuto beneficiare delle opere di riqualificazione. Invece c’è chi ha ristrutturato e ricostruito ville, mentre i palazzi che avevano disperatamente bisogno di interventi di restauro permangono nel degrado.
Dopo l’ennesima proroga, attuata per non abbandonare proprietari ed imprese rimasti con i lavori a metà o all’inizio dopo il blocco dei crediti da parte dei vari istituti, il governo ha messo definitivamente la parola fine sul Superbonus. Si riconoscerà il 110 solo per le spese sostenute entro il 31 dicembre 2023. Dal 1 gennaio 2024 cambiano i parametri, come riportato sul Poster Enea aggiornato. I bonus restano, ma con detrazioni decisamente ridotte.
E adesso il governo passa al contrattacco, nel tentativo di recuperare almeno una minima parte di quanto speso nei tre anni di ristrutturazione con il 110.
Tassa sulla plusvalenza al 26%: la mossa del governo per il rientro dei costi sulla ristrutturazione del 110
In molti parlano di vendetta, proprio per la particolare avversione per la Meloni e il suo esecutivo al 110, da sempre. Tuttavia, l’introduzione della tassa sulla plusvalenza nella Legge di Bilancio 2024 non è poi così iniqua come si potrebbe pensare a prima vista.
La “scure” non andrà infatti a colpire tutti indiscriminatamente. La plusvalenza è considerata un reddito diverso e deriva dalla differenza tra il costo stimato della casa prima dei lavori e il prezzo di vendita effettivo.
Quindi, innanzitutto, affinché la tassa validità, la casa deve essere prima venduta, ma anche in questo caso è opportuno fare dei distinguo.
Quando si applica la tassa per la ristrutturazione con il 110
Il 26% sulla plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile è dovuto se si è usufruito della detrazione con sconto in fattura o cessione del credito. Inoltre bisogna aver venduto casa entro cinque anni dalla fine dei lavori.
Qualora il committente avesse optato per la detrazione Irpef, tutti i costi inerenti al bene restano deducibili.
Sono escluse dalla tassazione le case ricevute in eredità e le prime case.
Di fatto la norma serve ad evitare il diffondersi del fenomeno di una ulteriore speculazione edilizia, che si aggiungerebbe a quella già in atto con gli aumenti spropositati dei costi dell’edilizia.
Ricapitolando, chi ha acquistato una casa, l’ha ricostruita o ristrutturata con il 110 e l’ha poi rivenduta entro cinque anni, generando una ovvia plusvalenza, vedrà tassata quella stessa plusvalenza del 26%.
Come si calcola la plusvalenza
Vediamo come valutare una cessione vantaggiosa, che quindi genera una plusvalenza. Si considera la differenza tra il prezzo di vendita della casa e il valore della stessa al momento dell’acquisto o della costruzione. Il valore verrà rivalutato tenendo conto dell’inflazione con l’aggiunta di eventuali costi sostenuti nel tempo. Ad esempio, uno stabile degli anni ’70, verrà valutato per il suo costo all’epoca dell’acquisto o della costruzione, addizionato di costi inerenti ad esso nel corso degli anni, come migliorie estetiche o funzionali, manutenzione straordinaria, ecc.
Se invece le opere di valorizzazione sono state sostenute dalla ristrutturazione con il 110, a carico dello Stato, non possono essere considerate un onere per il proprietario e quindi non rientrano nella detrazione.
La ristrutturazione con il 110 non comporta alcun cambiamento ai fini fiscali, ma contribuisce ad aumentare il valore finale dell’immobile, mentre quello storico resta invariato. Questa differenza rappresenta la plusvalenza.
Quindi, se il proprietario ha detratto l’incentivo dalle proprie imposte, continuerà a recuperare il credito al 110%. Anche se dovesse vendere l’immobile entro cinque anni dalla fine dei lavori.
Se invece ha ceduto totalmente i costi dei lavori , la plusvalenza derivante dalla vendita sarà tassata al 26%.
Per rimarcare il fatto che non si tratta di una vendetta, una presa di posizione, ma di un intervento redistributivo di risorse, la manovra ha stabilito che le entrate derivanti da questa tassazione si aggiungeranno al fondo per la riduzione della pressione fiscale.
Riassumendo
- Chi ha comprato casa, l’ha ristrutturata con il 110 e poi venduta prima dei cinque anni dalla fine dei lavori, dovrà pagare una tassa del 26% calcolata sulla plusvalenza generata dalla vendita.
- Non sono soggette a tassazione le prime case e le case ricevute in eredità.
- La plusvalenza si ricava dalla differenza del valore storico dell’immobile (rivalutato in base all’inflazione e ai costi inerenti ad esso sostenuti nel tempo) e il prezzo di vendita dopo i lavori.
- I proventi derivanti dalla tassazione rimpingueranno sul fondo per la riduzione della pressione fiscale.