La burocrazia rischia di chiudere le porte degli home restaurant: aprire un ristorante in casa, o gestirlo per chi lo ha già fatto, potrebbe non essere così semplice con le nuove regole. Finirà come Uber?
Home restaurant: danneggiano i ristoranti con concorrenza sleale?
La questione è la stessa del settore trasporti, ma anche di quello alberghiero con piattaforme come Airbnb: all’Italia non sembra piacere la sharing economy. E così i ristoratori ufficiali non vedono di buon occhio il boom dei ristoranti in casa e urlano alla concorrenza sleale chiedendo regole più severe e maggiori controlli per la somministrazione di alimenti al pubblico.
Home restaurant: servono permessi per aprire un ristorante in casa?
La “soluzione” potrebbe essere quella di chiedere ai titolari degli home restaurant il deposito della Scia, ovvero della dichiarazione di inizio attività che, da aprile 2015 è obbligatoria per tutte le attività di ristorazione in Italia. Ma in questo modo si snatura l’essenza stessa degli home restaurant che dovrebbero avere alla base la voglia di condividere e di aprire le porte di casa propria senza troppa burocrazia o restrizioni. Proseguendo su questa via ovviamente vanno dichiarati gli introiti del ristorante in casa fai da te che di fatto finisce per essere considerato alla stregua di una qualsiasi altra attività saltuaria commerciale. Fino a che l’attività non diventa abituale non sussiste l’ obbligo di versamento dei contributi previdenziali. Per il momento però si tratta solo di proposte.
Ristorante in casa e somministrazione di alimenti: novità
A muoversi in un senso più restrittivo è un recente parere del Ministero dello sviluppo economico. Nella nota ministeriale n. 50481 del 10 aprile 2015 infatti, gli home restaurant vengono considerati alla stregua delle attività di somministrazione di alimenti e bevande, e quindi caricati così di procedure burocratiche che, di fatto, renderebbero fuorilegge quelli già aperti e attivi. Nello specifico si legge che “l’attività anche se esercitata solo in alcuni giorni dedicati e tenuto conto che i soggetti che usufruiscono delle prestazioni sono in numero limitato, non può che essere classificata come un’attività di somministrazione di alimenti e bevande, in quanto anche se i prodotti vengono preparati e serviti in locali privati coincidenti con il domicilio del cuoco, essi rappresentano comunque locali attrezzati aperti alla clientela. Infatti, la fornitura di dette prestazioni comporta il pagamento di un corrispettivo, quindi, anche con l’innovativa modalità, l’attività si esplica quale attività economica in senso proprio”. Questo inquadramento comporterebbe l’applicazione del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59. Intanto dalle piattaforme di social eating arrivano l