Il governo di Viktor Orban aumenterà le emissioni di debito per quest’anno a 4.345 miliardi di fiorini (12,27 miliardi di euro), a cui si aggiungono 4 miliardi di euro per le emissioni in valuta estera, di cui 3,5 miliardi già collocati sul mercato e denominati nella moneta unica, mentre i restanti 500 milioni dovrebbero essere raccolti in yen, attraverso l’emissione di un cosiddetto “Samurai” bond. Del resto, il target per il deficit è stato quasi raddoppiato a 3.600 miliardi di fiorini (10,17 miliardi di euro), pari a un rapporto con il pil atteso tra il 7% e il 9%.
Mercati emergenti, boom emissioni di bond. E ora bisogna scegliere bene
La curva dei rendimenti è un po’ lievitata quest’anno. Ad esempio, la scadenza a 3 anni offre l’1,14% e quella a 10 anni più del 2,30%. Ad ogni modo, trattasi di livelli abbastanza contenuti, anche perché il debito sovrano ungherese gode di valutazioni relativamente basse da parte delle agenzie di rating: “BBB” per S&P e Fitch, “Baa3” per Moody’s.
Quest’anno, il fiorino ha perso quasi il 5% contro l’euro e ciò ha contribuito a tenere alta l’inflazione, al 3,8% a luglio.
I tassi d’interesse restano fissati allo 0,60% dalla banca centrale dopo il board di martedì scorso, per cui risultano nettamente negativi in termini reali. In teoria, ciò non deporrebbe a favore degli investimenti nei titoli in valuta locale. Si consideri che le riserve valutarie si attestano a circa 30 miliardi di euro, corrispondenti a 4 mesi di importazioni, sotto il livello consigliato dal Fondo Monetario Internazionale. Tuttavia, la bilancia commerciale continua ad esitare saldi attivi e le stesse partite correnti risultano in positivo. Per questo, non vi è pressione sulla banca centrale per alzare i tassi, anche perché il fiorino risulta ben agganciato all’euro.
Rendimenti in euro avidi
Si capisce bene, quindi, perché i bond in euro siano abbastanza prezzati e rendano davvero poco.
La scelta, quindi, sarebbe tra acquistare bond in fiorini a rendimenti più alti di quelli italiani o buttarsi in quelli in euro con rendimenti più bassi. Nel primo caso, scontiamo il rischio di cambio, sapendo che mediamente nell’ultimo decennio il fiorino ha perso quasi il 2% all’anno contro l’euro. Di fatto, il premio rispetto ai BTp svanirebbe lungo la curva, nel caso in cui la valuta magiara continuasse a deprezzarsi agli stessi ritmi. Quanto ai magri rendimenti in euro, sarebbe un modo di diversificare il portafoglio, puntando su un’economia emergente che nell’ultimo quinquennio è cresciuta al ritmo medio di oltre il 4% all’anno e il cui pil pro-capite ha ormai raggiunto la metà di quello italiano. Era a meno di un quarto nel 2000. E il debito a fine 2019 era al 66%, meno della metà del nostro.