Martin Guzman è stato nominato a soli 37 anni nuovo ministro dell’Economia in Argentina. Economista della Columbia University di New York e vicino al Premio Nobel Joseph Stiglitz, egli è considerato un giovane accademico critico nei confronti delle politiche di austerità fiscale adottate dalla precedente amministrazione di Mauricio Macri. Tuttavia, il suo approccio alla rinegoziazione del debito dovrebbe mostrarsi più “soft” di quanto temuto dai creditori dell’Argentina. L’uomo sostiene la tesi per cui Buenos Aires avrebbe non un problema di sostenibilità del debito pubblico, bensì di liquidità.
Possono sembrare solo parole, ma il significato del pensiero che rispecchiano è assai diverso. Per Guzman, i bond dell’Argentina non andrebbero sottoposti ad alcun “haircut”, il taglio del valore nominale già effettuato al 70% sui titoli oggetto di default nel 2001. Egli propugnerebbe, quindi, un allungamento delle scadenze (“roll-over”) e semmai la sospensione delle cedole per alcuni anni, così da far tornare a respirare conti pubblici e Tesoro.
In un certo senso, non una grossa sorpresa, perché era stato lo stesso candidato alla presidenza Alberto Fernandez in campagna elettorale a smentire le voci di una sua volontà di rinegoziazione del debito sovrano attraverso il taglio, parlando di soluzioni alternative. E il presidente-eletto s’insedia proprio oggi, quattro anni esatti dall’inizio della presidenza Macri, che aveva fatto sperare gli argentini e i mercati in un cambio di passo per l’economia domestica. Purtroppo, malgrado alcuni sforzi compiuti e necessari per uscire dall’eterna crisi in cui sembra essersi incagliata l’Argentina, i risultati non sono arrivati, anzi l’inflazione è esplosa sopra il 50%, il pil si è contratto e gli investitori, che avevano appena ripreso a guardare con fiducia al paese latinoamericano, sono andati via nuovamente nel 2018.
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Bond Argentina in ripresa
Ieri, il bond secolare in dollari USA con scadenza 2117 e cedola 7,125% (ISIN: US040114HN39) ha guadagnato il 2,5%, salendo a un prezzo di 41,75 centesimi, offrendo così un rendimento lordo di poco inferiore al 18%.
Attenzione a una sovra-reazione favorevole. Guzman non sarà propenso al taglio, ma i colloqui con il Fondo Monetario Internazionale e i creditori privati non saranno facili, anche perché il primo quasi certamente accetterà di contribuire al “reprofiling” dei prestiti da poco elargiti, a patto che i secondi partecipino alle perdite in misura non marginale. Inoltre, la vera questione di fondo continuerà a riguardare l’economia. Il neo-ministro è contrario al taglio dei sussidi, avvenuto sotto Macri per ridurre il deficit pubblico, pur avendo surriscaldato i prezzi interni un po’ più a lungo e in misura più marcata delle attese, complice il collasso del cambio. Ma senza un serio programma di risanamento fiscale, quello che attualmente sarebbe percepito come un problema di liquidità si trasformerebbe in uno di sostenibilità del debito.
I deficit di bilancio non sono un’eredità lasciata da Macri, semmai risalgono ad anni di spesa allegra proprio sotto gli otto anni di presidenza di Cristina Fernandez, la quale sarà vice del suo omologo compagno di partito a questo giro. Dunque, nell’immediato si potrebbe anche evitare un esordio troppo doloroso per i creditori, ma se non vi sarà un cambio di passo nella gestione dei conti pubblici, al peggio si arriverà in pochi anni.
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