Il Recovery Plan da 222 miliardi di euro è stato approvato ieri sera al termine di un Consiglio dei ministri teso e in cui i due ministri di Italia Viva si sono astenuti. Si attendono le loro dimissioni, mentre il premier Giuseppe Conte è consapevole che il suo secondo governo sarebbe al capolinea. Matteo Renzi non intende desistere e sta per aprire ufficialmente la crisi con il ritiro del suo appoggio all’esecutivo. Come mai? Per capirlo, servirebbe ricordarsi come nacque questa sgangherata maggioranza 17 mesi fa.
Tutti sapevano allora che di lì a poco Renzi si sarebbe staccato dal PD per fondare un suo movimento, cosa che accadde praticamente un mese dopo. Il governo Conte-bis nasce e l’ex premier punta a farsi spazio tra grillini ed ex compagni di partito per raccattare consenso e scegliere il timing perfetto per le nuove elezioni. Pensava che la sua Italia Viva avrebbe attirato vagonate di consensi tra i “moderati”, categoria buona per tutti e per tutte le stagioni. Invece, tutti i sondaggi la danno inchiodata sin dal suo debutto a un miserrimo 3%, che sembra quasi una costante statistica. Frustrato dal mancato decollo e frenato dalla pandemia, Renzi alza i toni di settimana in settimana e cerca di guadagnare visibilità pubblica. Ma niente. I consensi non arrivano. Ed ecco che da qualche mese ipotizza lo scenario più estremo per sperare in un cambio di vento.
I renziani restano impopolari quanto un mese o un anno fa, ma il loro leader si sta giocando forse l’ultima mano di poker. E, a differenza di quanto pensassero gli alleati di governo, sembrerebbe non bluffare. Avrebbe cercato un accordo con il centro-destra per costruire una maggioranza parlamentare alternativa. Ricevuto il due di picche da Giorgia Meloni, avrebbe successivamente sondato il terreno per una possibile convergenza elettorale nei collegi uninominali sempre con il centro-destra, al fine di ottenere sia le elezioni anticipate, sia la sopravvivenza politica. Ancora una volta, da Fratelli d’Italia è arrivato un sonoro “no”. Essendosi ormai spinto molto più in là del previsto, adesso punta a capitalizzare dalle file dell’opposizione.
Cosa succede con la crisi di governo
Dal canto suo, Conte avrebbe un preciso piano: sopravvivere con un terzo governo, sostenuto “da chi ci sta” o nuove elezioni. Per il primo scenario, si starebbe attrezzando al Senato con i famosi “responsabili”, una pattuglia disponibile a votargli la fiducia pur di occupare Palazzo Madama per altri due anni e percepirne i decorosi emolumenti. Gente senza ideali politici, mossa dal semplice desiderio di esserci e di non confrontarsi con il consenso popolare. Ma tant’è. Se questo esperimento dovesse fallire – ci sono incertezze sui numeri e sulla loro sufficienza nel rimpiazzare Italia Viva – resterebbero solo le elezioni. A quel punto, il premier avrebbe in mente di lanciarsi con una sua lista, che raccatterebbe gran parte dei voti dei 5 Stelle e ne attirerebbe altri anche dal PD. Un’ipotesi che non piace particolarmente a Nicola Zingaretti, che con un partito sotto il 20% e davanti di poco a Fratelli d’Italia non potrebbe permettersi ulteriori cedimenti.
Vedremo cosa farà Silvio Berlusconi, indisponibile teoricamente a sostenere Conte, ma nella pratica sappiamo da anni come funzioni il suo schema di gioco: finge di non controllare una schiera di parlamentari di Forza Italia e formalmente resta all’opposizione dei governi di centro-sinistra, nei fatti ne permette la sopravvivenza. Da lì arriverebbero i “responsabili”, che vanno da Lorenza Cesa a Clemente Mastella. Non c’è che dire per un movimento come i 5 Stelle, che avrebbe dovuto rivoluzionare la politica italiana e che ha imparato fin troppo presto a trasformarsi in una corrente neo-dorotea di democristiana memoria.
Renzi è finito? Sì, ma da un pezzo. L’essere stato al centro delle cronache politiche nell’ultimo anno e mezzo non ha fatto di lui un leader rinato. Politicamente, era morto il 4 dicembre 2016 con la sconfitta al referendum costituzionale ed era stato seppellito il 4 marzo 2018 alle elezioni politiche. Il suo è stato il canto del cigno. E’ durato anche troppo e ha stufato davvero tutti, persino i suoi parlamentari, molti dei quali fiutano il rischio della mancata rielezione e sarebbero pronti a “tradire” durante la crisi di governo, tornando tra le file del PD, magari inizialmente riciclandosi tra le file proprio dei “responsabili”. In tutto questo, manca il senso della politica, cioè il programma che dovrebbe tenere tutti uniti, fissando obiettivi e mezzi per raggiungerli. Ma siamo in Italia e la democrazia è stata da sempre una grande sceneggiata, ultimamente neppure più affascinante.
C’è davvero l’ombra di Mario Draghi dietro alla possibile crisi del governo Conte a gennaio?