Il salvadanaio degli italiani si è rotto, e già da parecchi anni. Se ancora pensiamo di essere un popolo di formichine, quello invidiato nei decenni d’oro in cui insieme al Giappone dominavamo le classifiche internazionali per capacità di risparmio, ci sbagliamo di molto grosso. I dati OCSE dovrebbero lasciarci impietriti, sebbene conosciamo sulla nostra pelle l’andazzo negativo da ormai troppo tempo. Ci affacciavamo agli anni Novanta con una propensione al risparmio, misurata in rapporto al reddito disponibile, nettamente sopra il 20%, circa il doppio della media OCSE.
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Lo scorso anno, le famiglie italiane hanno messo da parte appena il 2,66% del loro reddito disponibile, cioè al netto delle tasse. Nell’Eurozona, i dati si mostravano inferiori ai nostri fino al 2008, mentre nel 2019 ci hanno più che doppiati con il 5,65%. Incredibile la situazione in Germania, dove la propensione al risparmio si è attestata all’11%, che oltre ad essere circa 4 volte superiore a quella italiana, si mostra sostanzialmente in linea con i livelli di metà anni Novanta.
Cosa ci è successo? Siamo diventati un popolo di spendaccioni, abbandonando la virtù della frugalità sulla quale le precedenti generazioni avevano ri-costruito l’Italia? Niente affatto. Il punto è che risparmi su quanto guadagni e qui arrivano le note dolenti. I salari, calcolati in dollari a prezzi costanti per i dati OCSE e a parità di potere di acquisto, per cui depurati teoricamente dall’effetto cambio e dall’inflazione, in Italia sono rimasti sostanzialmente fermi, crescendo dal 1990 solamente dell’1,8%, contro oltre il +30% messo a segno in Germania e il 24,3% dell’area OCSE.
Verso un calo dei risparmi?
Le distanze tra Italia e resto del mondo avanzato, insomma, sono aumentate a nostro sfavore. E un altro dato contribuisce a farci capire perché ormai risparmiamo poco anche nel confronto internazionale. Nel 1990, la pressione fiscale nel nostro Paese si attestava al 36,4%, salendo a oltre il 42% degli ultimi anni. In Germania è cresciuta a un ritmo più contenuto, salendo dal 34,8% al 38,2% e nell’area OCSE dal 31,9% al 34,3%. In sostanza, paghiamo molte più tasse che nel resto del mondo ricco, con un “gap” che si è allargato negli ultimi 30 anni da 4,5 a circa 8 punti percentuali.
E’ vero, la propensione al risparmio viene calcolata al netto della componente fiscale, per cui dovremmo dedurre che l’aumento delle imposte non dovrebbe aver influito sulla minore capacità delle famiglie di accantonare risorse per il futuro. Niente di più sbagliato. Il peso fiscale in crescita ha depresso i redditi disponibili, che sono diventati in molti casi insufficienti per poter risparmiare, coprendo a malapena le spese, anche perché ha contribuito in maniera determinante a fermare l’economia italiana, a fare ristagnare gli investimenti, la produttività e la crescita dei salari, con quest’ultima ad essere stata inesistente, come abbiamo potuto verificare dai dati sopra esposti.
Il trend è diventato fin troppo negativo e dobbiamo temere che la crisi provocata dal Coronavirus acceleri il calo dei risparmi, con da qui a qualche anno a registrare una propensione media negativa, cioè consumi eccedenti i redditi disponibili, vale a dire inizieremo a intaccare realmente i risparmi accumulati in passato da noi stessi e/o dai nostri genitori e nonni. Sarebbe devastante per le prospettive di crescita dell’economia, la quale per definizione per andare avanti ha bisogno di investimenti, a loro volta finanziati dai risparmi domestici, altrimenti saremmo in balia dei capitali stranieri persino per il mantenimento dei livelli di capitale investiti.
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