Viviamo in tempi straordinari e occorrono risposte straordinarie. Il tasso d’inflazione negli USA a giugno è salito al 9,1%, mai così alto dal 1981. In pratica, la crescita dei prezzi al consumo sta avvenendo agli stessi ritmi di quando alla Casa Bianca c’era Ronald Reagan e alla Federal Reserve il governatore Paul Volcker. Ed è proprio a quella fase che stiamo tornando in termini di reazione all’instabilità dei prezzi. Il mercato dei bond ha iniziato a scontare un maxi-rialzo dei tassi FED di 100 punti base o 1% a luglio.
Secondo i contratti derivati di CME Group, ieri il maxi-rialzo dei tassi FED dell’1% a luglio era probabile al 79%. Per il restante 21% vi sarebbe un rialzo dello 0,75%. Se questa ipotesi fosse confermata, quando in Italia sarà la sera del 27 luglio la FED annuncerà che i tassi d’interesse saliranno al 2,75%. Sarebbe il livello più alto dal 2008, l’anno della crisi finanziaria mondiale.
Mercato dei bond tra maxi-stretta sui tassi e recessione
Queste aspettative giustificano l’andamento del cambio euro-dollaro, sceso fin sotto la parità nella seduta di ieri. Per quel che sappiamo ad oggi, la BCE a luglio alzerà i tassi dello 0,25%. A settembre, bene che vada, ci sarà un altro +0,50%. Le distanze tra tassi FED e tassi BCE si ampliano e ciò indebolisce la moneta unica, pressata anche dal maggior rischio recessione.
Ciononostante, il Treasury a 10 anni ieri scendeva a un rendimento sotto il 3%. Sembra una contraddizione rispetto all’andamento atteso sui tassi. In realtà, il mercato dei bond starebbe prezzando quello che definiamo un “policy error”, vale a dire un errore di politica monetaria. La stretta vigorosa della FED finirebbe per mandare l’economia americana in recessione e, pertanto, i tassi nei trimestri successivi avrebbero maggiori probabilità di essere tagliati che non alzati o essere tenuti invariati.