Si tiene oggi il sesto board della BCE. E c’è tutta la sensazione che sarà una riunione di svolta per il Consiglio dei governatori, chiamati a decidere se e in quale misura ridurre gli acquisti di bond con il PEPP, dando vita al “tapering”. L’inflazione nell’Eurozona ad agosto è salita al 3%, massimo da 10 anni. E la crescita economica nel secondo trimestre è stata del 2,2% rispetto al trimestre precedente e del 14,3% su base annua. Considerando che ormai oltre il 60% della popolazione nell’area risulta completamente vaccinata contro il Covid, l’esigenza di mantenere intatto l’apparato degli stimoli monetari varato in piena emergenza appare obiettivamente venire meno.
In questi mesi, la BCE ha acquistato la media di 20 miliardi di bond a settimana con il PEPP, qualcosa come oltre 80 miliardi al mese. Il programma prevede fino a 1.850 miliardi da spendere entro marzo 2022. Non è detto che sarà sfruttato per intero. Ad ogni modo, la riduzione degli acquisti rischia di impattare negativamente sulle economie dell’Eurozona più indebitate, tra cui l’Italia. La minore domanda della BCE colpirebbe i prezzi dei titoli di stato di nuova emissione e ne farebbe salire i rendimenti, accrescendo i costi d’indebitamento.
Meno PEPP e più QE dal board BCE
Per ovviare al problema, il board BCE entro dicembre sarebbe chiamato ad annunciare l’aumento degli acquisti con il “quantitative easing”. Si tratta del programma monetario ordinario, fissato attualmente a 20 miliardi di euro al mese. Vi chiederete che senso abbia ridurre l’uno per aumentare l’altro. Non sarebbe solo un fatto di forma, bensì pure di sostanza. Il passaggio di testimone dal PEPP al QE segnalerebbe ai mercati la fine della pandemia, almeno nei suoi effetti più truci per le economie, ma al contempo anche la necessità di proseguire l’opera di sostegno all’inflazione per il medio-lungo termine.
Potenziare il QE significa in buona sostanza riconoscere che la reflazione in corso non intacchi le aspettative d’inflazione pluriennali e non preoccupi Francoforte. I “falchi” del board BCE avrebbero da ridire sul punto, guidati dalla Bundesbank. Ma verrebbero accontentati proprio dalla minore flessibilità del QE. Qui, gli acquisti devono essere ancorati alle dimensioni delle singole economie dell’area e non l’istituto non può detenere più di un terzo del debito sovrano di uno stato. Questa seconda condizione rischia di essere presto infranta da Germania e Olanda, dati i rispettivi bassi rapporti di indebitamento.
Gli analisti si aspettano che dopo il PEPP, le dimensioni del QE saranno portate a 40-60 miliardi mensili. E state ben certi che Francoforte calibrerà gli acquisti sulla base delle necessità previste degli stati. Insomma, continuerà a monetizzare i debiti, al fine di tenere sotto controllo i rendimenti. D’altronde, il QE è arrivato ad essere di 80 miliardi al mese sotto Mario Draghi. E non possiamo escludere che torni a quei livelli con la scusa che le stime d’inflazione per il futuro restino sotto il target.