Sulla riforma delle pensioni, sta emergendo l’ipotesi di introdurre incentivi (bonus) per chi rinvia l’uscita dal mondo del lavoro, con l’obiettivo di spingere i lavoratori a posticipare il pensionamento il più possibile. Questa soluzione mira a ridurre la spesa previdenziale, partendo da un approccio diverso rispetto alle penalizzazioni previste dalle recenti misure.
L’idea è di passare dal deterrente per chi sceglie l’uscita anticipata al premio per chi rimanda il pensionamento. Ma cosa significa concretamente questo “premio”? Come saranno incentivati i lavoratori che, pur avendo raggiunto i requisiti per la pensione, decidono di restare in servizio?
Il bonus per chi rinvia la pensione dal 2025: cosa significa davvero?
Le ultime indicazioni sull’orientamento dell’esecutivo per le pensioni nei prossimi anni partono da un dato di fatto: secondo il rapporto annuale dell’INPS sullo stato del sistema pensionistico italiano, l’età media di pensionamento è troppo bassa, attestandosi a 64,2 anni.
Il problema principale è che, se da un lato i lavoratori escono prima dal lavoro, dall’altro la vita media della popolazione si allunga, costringendo l’INPS e lo Stato a pagare le pensioni per un periodo più lungo. Questa dinamica incide negativamente sulla spesa previdenziale, che non può aumentare ulteriormente, sia per le direttive di Bruxelles sia per il rischio di insostenibilità del sistema pensionistico italiano.
Per questo motivo, si stanno cercando soluzioni per ridurre la spesa pubblica destinata alle pensioni. Oltre alle penalizzazioni per chi va in pensione prima, si sta esplorando la strada di incentivare i lavoratori a rimanere in servizio con premi.
Tagli e premi: le due opzioni per le pensioni anticipate
Da anni esistono nel sistema previdenziale misure che penalizzano il calcolo della pensione per chi sceglie di andare in pensione anticipata.
Anche Quota 103, introdotta nel 2024, segue questa logica: chi decide di uscire dal lavoro a 62 anni con 41 anni di contributi deve accettare il taglio dell’assegno dovuto al sistema di calcolo contributivo. Una via simile potrebbe essere adottata per la futura Quota 41 per tutti e altre misure di pensionamento anticipato che il governo sta valutando.
Bonus pensioni: tra coefficienti di trasformazione e stipendi più alti
In passato, un’altra soluzione per rendere meno appetibili le pensioni anticipate era il taglio lineare dell’assegno. Per ogni anno di anticipo rispetto all’età pensionabile ordinaria, veniva applicata una riduzione del 2%. Ad esempio, uscire a 66 anni comportava una riduzione del 2%, a 65 anni del 4%, e così via.
Recentemente, il CNEL ha proposto una pensione flessibile dai 64 ai 72 anni con 25 anni di contributi e un trattamento non inferiore a 1,5 volte l’assegno sociale, ma con una riduzione del 3% per ogni anno di anticipo. Allo stesso tempo, nella proposta del CNEL si prevede un premio per chi rimanda il pensionamento oltre i 67 anni.
Quindi, con penalizzazioni per chi anticipa e premi per chi ritarda, si punta a incentivare i lavoratori a rimanere al lavoro più a lungo.
Il taglio del cuneo fiscale riduce le opzioni
Se il meccanismo delle penalizzazioni è ormai consolidato, resta più complesso il discorso dei premi per chi sceglie di restare al lavoro. Il governo sta lavorando a un meccanismo per trattenere i dipendenti in servizio per due anni in più, applicando i premi menzionati. Questa proposta mira anche ad affrontare il problema della carenza di personale nel settore pubblico, specialmente tra medici e infermieri.
Bonus contributivo: quale soluzione?
Un “bonus contributivo” per aumentare gli stipendi e incentivare la prosecuzione dell’attività lavorativa potrebbe essere una soluzione, ma deve essere migliorato rispetto a precedenti esperienze. Ad esempio, il bonus contributivo previsto per Quota 103 ripropone il vecchio bonus Maroni, seppur modificato. La quota di contribuzione a carico del lavoratore viene lasciata in busta paga a chi, pur avendo raggiunto 41 anni di contributi e 62 anni di età, resta al lavoro.
Tuttavia, a causa del taglio del cuneo fiscale, molti lavoratori non versano più il 9,19% di contributi a loro carico. Beneficiando di riduzioni del 6% o del 7%, a seconda dello stipendio. Nello specifico, chi ha stipendi fino a 2.692 euro gode di un taglio del 6%. Mentre chi percepisce fino a 1.923 euro beneficia di un taglio del 7%.
Questo significa che il vantaggio in busta paga si riduce notevolmente. Sarà quindi necessario trovare una soluzione più vantaggiosa per incentivare realmente la permanenza in servizio. Ad esempio, ritoccando i coefficienti di trasformazione dei contributi in pensione e aumentando il differenziale per chi sceglie di andare in pensione a partire dai 68 anni.
ma di che spesa pubblica stiamo parlando? i contributi versati in 35/40 anni di lavoro
sono soldi che i contribuenti hanno versato per accantonare un rendita chiamata pensione
lo stato non mi da niente di suo ,anzi mi tassa pure i sodi della pensione cosi pago due volte
un nostro diritto calpestato ripetutamente. l ‘inps ripetutamente parla di conti che non reggono, ma ripeto sono soldi che noi abbiamo versato e che lo stato dovrebbe ritornarci, non sono soldi loro sono NOSTRI. Non si deve confondere la PREVIDENZA CON L’ASSISTENZA.
Sono cose distinte che purtroppo ci fanno ingoiare come se fosse giusto.
TI STIMO 🙏
Ce la cantano e suonono a loro piacimento… Vorrei vederne solo 1 di quei pagliacci stare 43 anni e 10 mesi come schiavi per poi prendere una pensione di 1230 euro al mese!!!