Quando si parla di investimento, a nessuno viene in mente di prendere in considerazione i Buoni fruttiferi postali. In un certo senso, avete ragione. Poste Italiane colloca tramite le sue filiali i buoni emessi dalla Cassa depositi e prestiti, assimilabili quasi in tutto e per tutto ai BTp. Si tratta di titoli sicuri e per questo poco remunerativi e che godono della stessa tassazione agevolata dei titoli di stato italiani e degli altri inseriti nella “white list” del Tesoro, cioè gli interessi maturati scontano l’aliquota agevolata del 12,50%, anziché quella del 26% a cui altrimenti sarebbero soggetti.
Se andate sul sito di Poste Italiane, troverete scritto che siano pensati per investimenti di lungo periodo. Il perché lo capirete subito, non appena visualizzerete la tabella dei tassi d’interesse offerti. Questi vanno da un minimo dello 0,05% all’anno per i primi 5 anni e arrivano a un massimo dell’1,50% corrisposto per i 20 anni. Ma pensate che per ottenere la miseria dello 0,50% bisogna vincolare l’investimento per almeno 14 anni.
Nessuno stupore. Così va il mercato in questa fase. Del resto, anche i titoli di stato offrono ormai pochissimo, anche se giustamente qualcuno noterà che non così poco come il Buono fruttifero postale ordinario. In effetti, il BTp a 10 anni rende ancora circa l’1,50%, il ventennale il 2,20%. Se facessimo un confronto tra le due opzioni, scopriremmo che investendo la stessa cifra di 10.000 euro in un BTp a 10 anni (agosto 2029, ISIN: IT0005365165) o in un Buono della medesima durata, nel primo caso ci porteremmo a casa un monte-cedole di quasi 2.640 euro lordi, a cui andrebbero sottratti alla scadenza i circa 1.400 euro di minore capitale rimborsato rispetto al prezzo di acquisto. Nel caso del Buono fruttifero, invece, dovremmo accontentarci di circa 325 euro, perché il tasso decennale offerto sarebbe di appena lo 0,32%.
Buoni fruttiferi postali 3 x 4, qual è il vero rendimento e confronto con BTp
I punti di forza dei Buoni fruttiferi postali ordinari
E allora, perché mai dirottare i nostri risparmi sul Buono fruttifero ordinario, quando il BTp rende un multiplo per le stesse scadenze? Anzitutto, le distanze si accorciano, come notiamo, per il lungo termine. Se tra i due titoli a 10 anni esiste uno “spread” di ben l’1,2% in favore del molto più generoso BTp, esso scende a 0,70% per i 20 anni. Ma esistono differenze che rendono il Buono fruttifero più accattivante dei bond governativi. Anzitutto, una nota tecnica: i tassi qui vengono capitalizzati annualmente, ovvero gli interessi fruttano altri interessi, contrariamente alle cedole del BTp. Non che faccia chissà quale differenza (pochi euro in più nell’esempio di cui sopra), ma è un aspetto che va sottolineato.
Secondariamente, il BTp comporta l’assunzione del rischio di volatilità del titolo, nel caso volessi disinvestirlo prima della scadenza. Se la quotazione scende rispetto alla data di acquisto, riporto una minusvalenza che intacca il rendimento e potenzialmente potrebbe anche azzerarlo o renderlo negativo. I Buoni fruttiferi postali, invece, possono sempre essere rimborsati in anticipo rispetto alla scadenza e senza perdere un euro del capitale investito, nonché maturando gli interessi maturati sino alla richiesta, purché la detenzione minima ecceda l’anno. E non è roba da poco. Sapete quanti italiani in crisi di liquidità non vogliono/possono disinvestire i titoli di stato, perché altrimenti ci perderebbero? Questo con i Buoni fruttiferi non avviene.
Infine, l’aspetto forse più importante. Paradossalmente, converrebbe di più acquistare questi ultimi per investirli nel breve periodo, che è il tratto temporale a risultare più allettante, perché se da un lato i rendimenti dei BTp si mostrano negativi fino alla scadenza dei 2 anni e se dall’altro le banche non remunerano più il risparmio depositato sui loro conti, qui almeno potete beneficiare dello 0,05% annuo fino al primo quinquennio, senza altre spese diverse dagli oneri fiscali.