Questa settimana, il cambio euro-dollaro è scivolato ai minimi dal novembre scorso, in area 1,17. Ha perso il 2,5% rispetto ai massimi di quest’anno. Il 6 gennaio, ad esempio, il cross valutario chiudeva la seduta sopra 1,23. Gli analisti stanno rivedendo al ribasso le loro aspettative per il prosieguo dell’anno, peraltro iniziando a dubitare che possa essere sfiorata quota 1,30. Negli ultimi mesi, il dollaro sta tornando a rinvigorirsi sull’uscita più veloce dalla crisi per l’economia americana. Già alla metà di quest’anno, infatti, il PIL USA dovrebbe portarsi sopra i livelli pre-Covid, mentre nel migliore dei casi l’Eurozona sarà capace di farcela con un anno di ritardo.
Le vaccinazioni stanno procedendo negli USA a ritmi tripli che nell’Unione Europea. Peraltro, l’amministrazione Biden non sta lesinando gli aiuti alle famiglie e alle imprese, avendo già approvato un piano da 1.900 miliardi di dollari, a cui se ne è aggiunto un altro decennale da 2.000 miliardi a favore delle infrastrutture. Sui mercati si respira ottimismo, a tal punto che si scommette su un rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve prima di quanto ad oggi segnalato, cioè nel 2023. Viceversa, la BCE sta mostrandosi ultra-accomodante e dalle dichiarazioni di questi giorni del governatore Christine Lagarde, anzitutto, è emersa la volontà di continuare a sostenere l’economia nell’area anche possibilmente dopo la scadenza sin qui fissata per il PEPP al marzo 2022. Da qui, la netta risalita dei rendimenti americani, altro fattore attrattivo dei capitali dal resto del mondo e di apprezzamento del dollaro.
Come se non bastasse, la Corte Costituzionale tedesca ha bloccato per il momento la ratifica del Recovery Fund da parte della Germania, allungando i tempi di reazione comune alla crisi, nonché ponendo dubbi sull’implementazione del programma varato nel corso del 2020 e che prevede erogazioni fino a 750 miliardi di euro, di cui 390 miliardi in forma di sussidi.
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In Europa restano i lockdown
Infine, i contagi. Negli USA restano stabili, mentre continua a calare il numero dei morti. Da qui, il graduale allentamento delle restrizioni un po’ in tutta la nazione. Nell’Eurozona, invece, la curva s’innalza e le restrizioni s’inaspriscono un po’ ovunque. La Germania ha indietreggiato sul “lockdown” duro a Pasqua, ma ha accentuato i divieti fino alla metà del mese, così come la Francia ne ha imposti di nuovi e duri, tra l’altro chiudendo le scuole per due settimane e limitando gli spostamenti all’interno delle regioni.
Il caos vaccini ha inferto al cambio euro-dollaro un colpo non indifferente. Esso ha svelato le criticità di Bruxelles nel fronteggiare la pandemia e i maggiori ostacoli che ancora una volta l’unione monetaria dovrà superare per uscire dalla crisi. Il timore forte è che si ripeta il film simile a quello visto dopo il 2009, quando gli USA, che erano stati l’epicentro della crisi finanziaria, si misero in fretta alle spalle le perdite, mentre l’Eurozona rimase indietro per anni.
La debolezza dovrebbe persistere per diversi mesi, almeno fino alla data delle elezioni federali tedesche, le quali segneranno in ogni caso la fine dell’era Merkel e l’inizio di una fase ancora ignota anche solo nei protagonisti. In verità, nel 2022 si terranno anche le elezioni presidenziali in Francia, dove la rielezione di Emmanuel Macron non deve essere data per scontata. Probabile che la stessa Italia vada al voto con un anno di anticipo, specie se il premier Mario Draghi venisse eletto presidente della Repubblica dopo Sergio Mattarella. E difficilmente la BCE alzerebbe i tassi o ridurrebbe gli stimoli monetari a campagna elettorale in corso in una o più grandi economie dell’area.
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