Come se non bastasse la già fragile situazione economico-finanziaria, la geopolitica contribuisce ad alimentare tensioni sui mercati in Turchia. Il candidato democratico alle elezioni presidenziali, Joe Biden, in un video diffuso in questi giorni ha attaccato duramente il presidente Recep Tayyip Erdogan, sostenendo che gli USA dovrebbero appoggiare ufficialmente gli oppositori. Nel frattempo, con la Grecia la temperatura è altissima, dopo lo scontro tra le due rispettive fregate nel Mediterraneo, con Ankara a voler condurre esplorazioni di gas e petrolio al largo di Cipro, in acque contese con Atene.
Bond Turchia, la caduta è servita e ora il mercato sconta un maxi-rialzo dei tassi
In questo marasma, naturale che la lira turca stia collassando. Oggi, sfiora il rapporto di 7,40 contro il dollaro, portando le perdite da inizio anno a circa il 20%. I rendimenti sovrani a 10 anni sono saliti al 14,99%, ai massimi dal settembre scorso, segnando un rialzo di ben quasi 500 punti base dai minimi toccati nell’aprile scorso. Male anche i titoli a 2 anni, che offrono ormai il 14,04%, al top da ottobre 2019 e a +536 bp dai minimi dell’anno.
Attesa per il board di giovedì
A luglio, l’inflazione è solo lievemente scesa all’11,76%, sostando ancora nettamente sopra i tassi d’interesse fissati dalla banca centrale all’8,25%. Il governatore Murat Uysal stima per fine anno una crescita tendenziale dei prezzi sempre molto al di sopra dei tassi, ragione per cui le vendite di assets da parte degli investitori stranieri non fanno che accelerare. E giovedì 20 agosto, l’istituto è chiamato a rendere note le sue nuove decisioni di politica monetaria. Sarà un momento cruciale per il mercato obbligazionario, perché si capirà da questo appuntamento se Uysal resta ostaggio della politica o se intende reagire al collasso della lira.
Fuga record dai bond della Turchia. E dopo le parole del governatore sarà peggio
Agli ultimi due board ha tenuto i tassi fermi, un passo che confermerebbe l’intenzione di almeno sospendere l’allentamento monetario, malgrado le pressioni del governo per una sua prosecuzione. Ma la Turchia ha bisogno di un costo del denaro più alto per fermare l’emorragia di fiducia sui mercati. E sembra molto difficile che il governatore possa muoversi in tale direzione, sebbene gli stessi investitori stiano scontando una risalita dei tassi, come segnalano i rendimenti a breve termine. Né si può confidare sul calo autonomo dell’inflazione, dato l’impatto rialzista sui prezzi derivante dal cambio sempre più debole.
I controlli sui capitali restano l’opzione in mano alla banca centrale per frenare i deflussi finanziari, sebbene verrebbero con ogni probabilità introdotti informalmente, tramite il blocco o l’ulteriore ridotta attività di trading delle banche statali domestiche. Per questo, l’investimento in bond turchi si mostra sempre più rischioso, compresi quelli denominati in valute estere forti, dato il pericoloso assottigliamento delle riserve valutarie. E sul fronte cambio non s’intravedono segnali di stabilizzazione.