Alcuni giorni fa, Fineco ha inviato ai clienti una lettera per informarli della possibile chiusura dei conti sopra i 100.000 euro, in assenza di adesione a prodotti alternativi o di risparmio gestito o di finanziamenti in corso con la banca. L’istituto ha giustificato la decisione con la persistenza ormai da anni dei tassi negativi imposti dalla BCE sui depositi “overnight” delle banche commerciali dell’Eurozona. Succede, infatti, che per incoraggiare l’immissione di liquidità in circolazione, Francoforte da tempo non soltanto non remunera più gli eccessi dei depositi delle banche presso i suoi conti, ma anzi li stanga con un tasso ormai dello 0,5%.
A questo punto, le banche non stanno trovando più conveniente avere troppa liquidità dei clienti, specie in una fase come questa in cui impiegarla è difficilissimo. Ne consegue che i conti correnti troppo gonfi siano diventati un onere per gli istituti. Da qui, la decisione di imporre la chiusura al superamento della soglia dei 100.000 euro, la quale potrebbe presto essere imitata dalle concorrenti e non necessariamente con riferimento alla medesima soglia. L’alternativa la segnala la Svizzera, dove le banche sono ormai solite girare ai clienti i tassi negativi sui depositi più alti. In Germania, qualche caso simile lo si registra.
Conto corrente Fineco chiuso sopra i 100 mila euro, dove finisce la libertà del risparmiatore?
Il mercato del risparmio è andato in tilt
I tassi negativi sono una politica abbastanza diffusa in Europa, oltre che adottata in Giappone, finalizzata a sostenere la ripresa dell’inflazione, tramite l’aumento della liquidità in circolazione e l’indebolimento dei tassi di cambio. I risultati sono stati ovunque abbastanza parziali, se non semi-fallimentari. Ad ogni modo, con la pandemia la politica monetaria globale si è di gran lunga allentata e le banche centrali hanno preso impegni a non mutarla da qui al medio termine.
I governi sono ricorsi abbondantemente alle emissioni di debito pubblico per contrastare gli effetti economici e sociali della pandemia e terranno verosimilmente espansiva la loro politica fiscale per parecchio tempo ancora. I tassi azzerati servono e serviranno loro per continuare a raccogliere capitali sui mercati a bassissimo costo, rendendo sostenibile l’indebitamento. I contribuenti da un lato apprezzano, perché questa condizione finanziaria ultra-favorevole riduce il rischio di un imminente aumento della tassazione e/o di un taglio alla spesa pubblica. Ma in qualità di risparmiatori, stanno iniziando seriamente ad avvertire i limiti di queste azioni non convenzionali.
Se i conti correnti non rendono nulla e rischiano persino di diventare un prodotto con costi crescenti all’aumentare della liquidità depositata (o peggio ancora di essere chiusi oltre una certa soglia), esistono sempre moltissime alternative. Si può investire sul mercato obbligazionario, su quello azionario, nei fondi e persino in assets come l’oro. Ma c’è un problema: nessuna di questa è un’alternativa reale al conto corrente, nel senso che presenta rischi maggiori. In effetti, i titoli di stato rendono sottozero fino alle medio-lunghe scadenze e molto poco anche sulle lunghe. Comprando queste ultime, ci si esporrebbe, poi, al rischio di volatilità dei prezzi, per cui si dovrebbe mettere in conto o di subire una certa perdita o di cristallizzare la liquidità fino alla data del rimborso, cioè anche per decenni. Fuori dall’Eurozona, la situazione si mostra migliore, ma ci si esporrebbe al rischio di cambio, come con l’acquisto di Treasuries americani.
Arricchirsi in pochi minuti nell’era dei tassi a zero e rendimenti negativi
Nessuna alternativa perfetta al conto corrente
Non parliamo neppure di azioni e fondi, per loro natura assets più rischiosi, tanto che in un portafoglio bilanciato non dovrebbero superare generalmente il 60% dell’investimento complessivo.
Come se ne esce da questo corto circuito? Piaccia o meno ammetterlo, il mantenimento dei tassi a livelli così infimi non si mostra più sostenibile. La liquidità si accumula un po’ ovunque nel mondo sui conti bancari e inizia a deteriorare severamente i margini degli istituti. Da qui, la necessità di alzare gradualmente il costo del denaro per permettere che domanda e offerta di risparmio s’incrocino meglio. A rischio vi sarebbe la tenuta sociale, perché se c’è una cosa che non puoi pretendere dalle famiglie è che esse investano sui mercati finanziari per consentire ai governi di indebitarsi senza limitazioni. Solo una risalita, pur lenta e sotto controllo, dei rendimenti sovrani, ergo dei tassi d’interesse, eviterebbe lo sbriciolamento del mercato del risparmio. Significherà sostenere una maggiore spesa per interessi, pur bassissima sul piano storico e sostenibile, specie con il mix tra reflazione e ripresa economica atteso per i prossimi mesi e anni. Ciò non toglie che siamo entrati e rimarremo a lungo nell’era della repressione finanziaria, con tassi reali negativi e disincentivo di fatto al risparmio.
La repressione finanziaria spinge già a guardare ai paesi emergenti, fate attenzione