Andare in pensione con quota 102 implica avere almeno 64 anni di età e 38 di contributi maturati. Requisiti che valgono solo per quest’anno essendo la misura temporanea.
Secondo le stime, sono poche migliaia i lavoratori che possono accedere a quota 102 e più che altro si tratta dei nati alla fine degli anni ’50. Inoltre i requisiti contributivi devono essere pieni.
Quota 102 e il requisito contributivo
Cosa significa questo? In pratica per accedere a quota 102 servono almeno 35 anni di contributi realmente versati e, al massimo, tre di contributi figurativi utili alla pensione (periodi di disoccupazione e malattia non indennizzata).
Chi ha solo 34 anni di contributi realmente versati e 4 di contributi figurativi, ad esempio, non può andare in pensione con quota 102. Detto questo e posto che non vi siano altre scappatoie per uscire prima, il lavoratore deve attendere il raggiungimento dei 67 anni di età oppure maturare 42 anni e 10 mesi di versamenti (12 meno per le donne).
Una situazione border line che vincola il cittadino a lavorare ancora per almeno 3 anni prima di raggiungere il requisiti necessario ad andare in pensione.
Lo scivolo del datore di lavoro privato
Tuttavia, il datore di lavoro privato potrebbe aiutare il proprio dipendente a lasciare il posto con quota 102 nonostante la mancanza del requisito contributivo. Posto che l’azienda non abbia possibilità di accedere ai contratti di espansione o all’isopensione e nemmeno trattasi di una banca, ecco come potrebbe fare.
Il costo ricadrebbe a carico del datore di lavoro che pagherebbe per tre anni il dipendente fino al raggiungimento dell’età della pensione. In fondo si tratta di corrispondere al lavoratore una somma che sarebbe inferiore a quella dello stipendio perché simulata sull’aspettativa della pensione.
Proprio come avviene per i contratti di espansione, ma senza stipulare alcun contratto con lo Stato. Il datore corrisponde una somma equivalente a quella della pensione futura per tre anni.