Il debito pubblico, un pozzo senza fondo: ormai è ineludibile un taglio

L’annuncio della riunione straordinaria dei leader dell’Eurozona, in programma per giovedì prossimo, è arrivato ieri in concomitanza agli annunci degli esiti sullo stress-test delle banche europee. Si tratta dell’ennesima inconcludente riunione o dobbiamo aspettarci qualche sostanziale novità? Le aspettative sono sempre alte in occasione di questi summit, tanto più che questo si svolge a ridosso delle frenetiche consultazioni di Charles Dallara dell’IIF per giungere ad una prima conclusione in grado di aggredire alla radice il debito pubblico ellenico. Per noi bondisti potrebbe essere la svolta decisiva. Insieme al pacchetto di aiuti supplementari si tratterà di decidere un nuovo calo degli
13 anni fa
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L'emblematica raffigurazione di un buco nero, in grado di assorbire tutto.
L’annuncio della riunione straordinaria dei leader dell’Eurozona, in programma per giovedì prossimo, è arrivato ieri in concomitanza agli annunci degli esiti sullo stress-test delle banche europee. Si tratta dell’ennesima inconcludente riunione o dobbiamo aspettarci qualche sostanziale novità? Le aspettative sono sempre alte in occasione di questi summit, tanto più che questo si svolge a ridosso delle frenetiche consultazioni di Charles Dallara dell’IIF per giungere ad una prima conclusione in grado di aggredire alla radice il debito pubblico ellenico.
Per noi bondisti potrebbe essere la svolta decisiva. Insieme al pacchetto di aiuti supplementari si tratterà di decidere un nuovo calo degli interessi pagati da Atene accompagnandolo da una ulteriore dilatazione temporale dei pagamenti. Accanto a questi si tratterà di decidere le modalità di coinvolgere i “privati” nei processi di ristrutturazione del debito. Naufragata la proposta “francese” pare ormai che le alternative, rispetto ai bond, siano essenzialmente due. La prima, a grandi linee, è una proposta di swap dei titoli con un riscadenziamento trentennale (non necessario, basterebbe anche decennale) con un tasso al 3,5%, garantito da un sottostante tripla AAA, ma sui cui verrebbe effettuato un haircut del 30% sul nominale. La seconda è un’operazione che passa attraverso un buy-back sui titoli, con il supporto dell’EFSF. Ipotesi suggestiva, in grado di tagliare in modo indolore e senza porre i titoli in un probabile “selective default”. Anche qui, le modalità operative sono varie: da un’adesione spontanea ad un’offerta pubblica di riacquisto, ad azioni di rastrellamento sul secondario e sui mercati non regolamentati coordinate in precedenza tramite accordi con i maggiori istituzionali. Venerdì abbiamo saputo che la quota del debito pubblico detenuta dalle banche greche è passata dal 30% al 67%. Le crisi derivanti dall’ingigantimento abnorme dei debiti pubblici non sono una novità degli ultimi decenni.
E neppure dell’ultimo secolo. Sono una costante storica parallela al formarsi di grosse entità statali e da un’evoluzione dell’economia in senso “moderno”. Le risposte date sono varie e passano attraverso gli episodi più drammatici della storia come guerre, carestie, colonialismo ecc. La caduta degli Sforza a Milano, fu il prologo di una lunga decadenza che non si espresse solo nelle arti e nelle lettere. La centralità della Signoria passò la mano a sistemi divenuti “Nazione” con disponibilità enormi rispetto agli stati regionali in cui era divisa l’Italia sotto la regia del Papato e dell’imperatore di Germania. Era finita un’epoca. Non bastarono le trame, i costosi intrecci familiari con i tedeschi, i ducati d’oro a salvare Lodovico il Moro dalla tempesta che si addensava sul piccolo stato milanese. Ormai le trame europee puntavano tutte verso questo baricentro. L’insediarsi in pianta stabile degli spagnoli nel Ducato di Milano, segnò la fine di un trentennio di guerre tra le maggiori potenze dell’epoca che – a partire dal 1500 – prosciugarono ogni risorsa di quello che era uno degli stati più ricchi d’Europa. La dominazione spagnola non fu però solo un periodo, come una certa retorica risorgimentale vuol farci credere, di tragedie. In una prima fase, lunga oltre un cinquantennio, la popolazione torna a crescere, le campagne tornano a ripopolarsi e ritornano ad espandersi le imprese manifatturiere. Primeggiano, tra queste ultime, quelle tessili e metallurgiche con produzioni di nicchia ad altissima qualità. Sono ricercatissimi i tessuti auroserici: seta intrecciata da fili in oro e argento. Far parte di un vasto impero favorisce il libero commercio e sono proprio le esportazioni che ricevono un impulso molto forte: le merci di Milano sono prodotti molto richiesti sia nell’impero di Carlo V sia da tutta l’Europa.
I settori produttivi che traggono beneficio dall’export iniziano a reinvestire gli utili nell’agricoltura e nel settore finanziario. Quest’ultimo ha un’enorme sviluppo, favorito dai genovesi, grazie ad una spesa pubblica che cresce a dismisura, parallela alle esigenze belliche del momento. I bisogni dell’enorme impero di Carlo V, perennemente a corto di liquido, accresce dunque l’attività creditizia che a sua volta reinveste nell’acquisto derivante dalle cessioni statali di beni demaniali e del dazio. Vengono vendute anche le cariche pubbliche e magistrali, vengono concessi feudi con le posizioni di privilegio che determinano. L’altra parte degli utili derivanti dai proventi dell’attività manifatturiera viene investito in redditi agrari. Questo apporto di capitali nell’agricoltura favorisce il formarsi di grandi unità agricole sostenuto anche dai prezzi dei prodotti agricoli in costante ascesa. Uno dei meccanismo più farraginosi era proprio il regolamento che sottostava alla vendita dei cereali: ogni raccolto doveva essere notificato immediatamente ed una parte prendeva la via obbligatoria dei mercati cittadini dove doveva essere venduto. Per vendere i “grani” aldifuori della propria zona, o addirittura dello Stato, erano necessarie complesse autorizzazioni che prestavano poi il fianco a tutta una serie di corruttele di cui gli spagnoli sono, giustamente, famosi. I primi segnali di crisi di questo virtuoso circolo iniziarono ad apparire alla soglia del 1600 quando, tra continue guerre e le cicliche crisi economiche, fecero salire di molto i debiti pubblici. Gli stati si videro costretti ad impiegare le loro risorse in crescenti spese militari mentre il capitale finanziario richiedeva maggiori interessi paralleli all’accrescere delle esposizioni. In quesgli anni la “peste nera” inizia a ripresentarsi ogni anno in tutta Europa portando con se carestie e calo demografico. Nello stesso periodo, sul suolo lombardo, riprende ad essere percorso da eserciti cui è dovuto vitto ed alloggio. Con la crisi in atto si scorgono i primi segnali di un calo della circolazione monetaria accompagnato da prezzi in discesa dei prodotti agricoli.
Il fisco, parimenti, diventa oppressivo oltre misura non riuscendo più ad ottenere i ricavi che aveva precedentemente con la tassazione delle attività di commercio, agricole e di manifattura. A Milano si perdono i principali mercati di riferimento dell’export per tutta una serie di motivi che vanno dall’accresciuta concorrenzialità con altri produttori emergenti, alle politiche protezioniste francesi, alle crisi interne a Spagna e Germania. Ma la macchina statale di Madrid è però un’enorme voragine che aumenta progressivamente l’indebitamento senza alcun freno. Tutto questo si scarica con appesantimenti fiscali sulle campagne che accelerano i sintomi recessivi. Ad avvantaggiarsi della situazione rimane solo il vecchio patriziato aristocratico che cerca di mantenere salda la sua autorità, creando una serie di divieti di accesso di altri ceti al proprio interno: in città si continuano a costruire sontuosi palazzi mentre in campagna – vicino ai propri redditi agrari – si edificano “ville di delizia”. La città inizia a perdere la popolazione, in un costante calo demografico che tornerà a crescere solo a partire dall’800. Quella che fu una delle caratteristiche peculiari dello sviluppo del Ducato di Milano, l’equilibrio di scambio tra città e campagna, si rompe. Si entra in una lunga fase di crisi latente che durerà sino alla caduta dell’Impero Spagnolo in Italia. Il primato e la centralità di Milano sono ormai persi con la progressiva riduzione del territorio del Ducato ad una striscia posta tra l’Adda e il Ticino. Uno dei pochi dati positivi che ci arrivano dalla Grecia riguardano sempre le esportazioni. L’altro giorno Eurostat ha certificato un aumento del 31% del valore dell’export ellenico nel primo trimestre del 2011 rispetto al corrispettivo del 2010. La recessione in atto contribuisce poi a far calare le importazioni con un – 22% favorendo il miglioramento della bilancia commerciale che cala da da un debito di 11,9 miliardi nel 2010 a 6,8 miliardi nel 2011. In mezzo a tanta desolazione è l’unico elemento positivo. La produzione industriale continua a calare mentre aspettative positive sono rivolte verso il comparto turistico che rappresenta da solo il 18% del PIL: i primi dati provvisori segnalano un aumento del 9% nei primi sei mesi, rispetto all’anno precedente. Nel frattempo l’Unione Europea cerca di contribuire per far ripartire gli investimenti all’interno di un quadro pesantemente recessivo. Un primo accordo è stato stipulato sui contributi per i fondi strutturali. L’esecutivo di Atene ha chiesto un innalzamento del tetto dal 79% all’85% dei contributi comunitari ai progetti presentati ed approvati. E’ stato stimato che saranno concessi 14 miliardi entro il 2013, di cui almeno la metà dovrebbero essere rilasciati a breve termine. Nel contempo si è provveduto a far scendere gli oneri della Grecia dovuti alla Comunità Europea. Per quanto riguarda l’andamento dei nostri titoli, nei giorni scorsi sono stati rilasciati i dati registrati nel mese di giugno sul mercato secondario dei titoli elettronici (HDAT) di Atene. Si segnala una ulteriore rarefazione degli scambi accompagnata da un aumento dei rendimenti offerti. Nel particolare possiamo leggere che il segmento dei titoli triennali i prezzi di riferimento scendono da 60,79 registrato a fine maggio a 58,90 di fine giugno. I quinquennali da 61,68 di maggio ai 59,99 di giugno. Rimane sostanzialmente invariato il prezzo di riferimento dei decennali che passa da 54,59 a 54,66. Risalgono i prezzi invece per i 15 anni che vanno da 46,75 ai 48 mentre i trentennali ritracciano da 44,23 a 43,51. Per quanto riguarda i rendimenti, si segnala una crescita dei titoli triennali al 26,61%. I decennali al 16,16%. I trentennali all’11,24%. Lo spread medio mensile sul decennale è passato da 1281 pb. di maggio ai 1371 pb. di giugno. I volumi continuano a scendere. Da una media dei primi mesi dell’anno intorno al miliardo di euro, si è passati ai 695 milioni di maggio per finire ai 368 milioni di giugno. Gli scambi maggiori si sono registrati sulle obbligazioni con scadenza inferiore ai 3 anni che hanno rappresentato circa il 60% dell’intero volume di scambio.

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