Più che un programma di governo, il discorso di Mario Draghi, tenuto martedì scorso al Meeting per l’Amicizia di Rimini, è stato un appello alla responsabilità, l’enunciazione di principi-cardine su cui dovrebbero agire il governo italiano e l’Unione Europea in questa fase di emergenza sanitaria e, soprattutto, quando essa sarà cessata. Le parole dell’ex governatore BCE sono state concrete, chiarissime, asciutte, se vogliamo persino dure, com’è del resto nel suo stile. Facendo eco a una sua stessa intervista della primavera scorsa, ha preso atto che da questa crisi usciremo con più debiti e che i paesi dovranno reagire adattando i loro comportamenti alla mutata situazione.
Governo Draghi imminente? Ecco perché l’ex governatore piace a tutti o quasi
Ha invitato al pragmatismo Draghi, lui che pragmatico lo è sempre stato, come quando dal nulla s’invento tre parole magiche (“whatever it takes”) con cui il 26 luglio del 2012 salvò l’euro da una scomparsa che sembrava certa e imminente. Ha posto fortemente l’accento sui giovani, giudicati vittime di una marginalizzazione sul piano delle politiche dei governi e invocando investimenti sull’istruzione per garantire loro maggiori possibilità di lavoro in futuro. Ha distinto tra “debito buono” e “debito cattivo”, allorquando ha ricordato che i disavanzi fiscali di questa fase andranno rinnovati e lo saranno senz’altro se saranno serviti a sostenere la crescita, non se impiegati per sussidi, i quali servono sì a dare sollievo a chi patisce la crisi, ma devono essere accompagnati da interventi strutturali di risoluzione dei problemi, ha avvertito.
Infine, Draghi si è mostrato soddisfatto dei passi in avanti della Commissione europea nel contrastare la crisi, ma ha notato come ciò sia avvenuto per effetto di accordi intergovernativi e ha chiarito come la solidarietà, necessaria per procedere uniti in un mondo globale in cui le relazioni internazionali sembrano smarrite, debba sempre essere accompagnata dalla responsabilità.
Tanti applausi, ma solo adesioni formali
Questo è il succo del discorso di Draghi, che possiamo così riassumere: la pandemia ci ha imposto di andare oltre gli schemi e di indebitarci. I debiti possono ripagarsi se servono per crescere. Una bocciatura implicita delle politiche del governo Conte, che oltre ai sussidi non ha delineato alcuna prospettiva di sostegno alla crescita. E per crescere, serve rafforzare il capitale umano, cioè l’istruzione, non necessariamente intesa solo come percorso scolastico tradizionale. Si pensi alla formazione continua nel mondo del lavoro. A proposito, non avevamo proposto nelle scorse settimane di usare i fondi europei per investire di più nella scuola?
Ed ecco, infine, la perla draghiana. E’ vero che serve solidarietà in Europa, ma essa non può essere slegata dalla responsabilità, cioè un governo non può nemmeno immaginare di ignorare i principi della buona condotta fiscale, pensando che a pagare per le sue spese siano gli altri. E anche in questo caso è arrivato un avvertimento a Roma – maggioranza e opposizioni – affinché nessuno s’illuda che passi in avanti come il “Recovery Fund” o il potenziamento degli acquisti di assets da parte della BCE siano il via libera al debito senza freni.
Non è stato un programma di governo, ma un modo di pensare al governo sì. Sappiamo da mesi che il banchiere sia in pole position per succedere a Giuseppe Conte a Palazzo Chigi nel caso di caduta dell’esecutivo. Ribadiamo le perplessità, data l’assenza di condizioni politiche credibili per aprire una simile fase. Probabile, invece, che a Rimini siano state rilanciate le quotazioni già alte di Draghi per salire al Quirinale nel 2022, quando scadrà il settennato di Sergio Mattarella.
Draghi premier o al Quirinale?