Non è un discorso di immediata lettura quello che ha tenuto ieri il governatore della BCE, Christine Lagarde, perché si presta contemporaneamente a più interpretazioni. Da un lato, la francese si è mostrata relativamente ottimista sulla ripresa dell’economia nell’Eurozona, quando ha confermato le stime di crescita per quest’anno nell’Eurozona, attese dall’istituto al 3,9%. Risultano superiori a quelle che diversi analisti privati stanno tagliando in queste settimane sulla scia dei nuovi “lockdown” imposti dai governi contro i contagi. Secondo Lagarde, però, già le stime di dicembre contenevano come scenario il mantenimento delle restrizioni fino a marzo.
In virtù di queste considerazioni, il governatore ha affermato che il PEPP, il programma di acquisti dei bond per l’emergenza Covid, potrà essere nuovamente rivisto nel caso in cui si rendesse necessario. A dicembre, è stato elevato a 1.850 miliardi di euro fino al marzo del 2022, ma se servirà potenziarlo ancora per centrare il target d’inflazione, ha spiegato, così sarà. Al contempo, se le condizioni non ne richiedessero l’utilizzo integrale, gli acquisti saranno inferiori all’importo massimo sinora stanziato.
La BCE di Lagarde è nella bufera, un giro di chiamate minaccia la reputazione
La flessibilità del PEPP non avrebbe un impatto in un senso o nell’altro sul mercato obbligazionario dell’Eurozona. In un certo senso, Lagarde afferma l’ovvio. Eppure, l’ipotesi che i 1.850 miliardi destinati agli acquisti non siano certi qualche dubbio dovrebbe seminarlo tra gli obbligazionisti, perché al minimo cenno di ripresa nell’area, questi potrebbero arrivare a dedurre che la politica monetaria della BCE, pur restando espansiva, lo sarà un po’ meno di quanto supposto sino ad allora.
Il cambio e l’inflazione
E c’è un diretto riferimento al tasso di cambio, con il governatore a dire di essere “estremamente attenti circa l’impatto sui prezzi” che esso ha.
In definitiva, la BCE continuerà ad acquistare bond fino a quando non sarà centrato stabilmente il target d’inflazione. Per ora, non rivede le stime sul PIL nell’area, ma si tiene pronta ad agire in un senso o nell’altro con il PEPP, fermo restando che le condizioni monetarie saranno mantenute accomodanti. Infine, monitorerà l’evoluzione del cambio per evitare il rischio che finisca per allontanare l’obiettivo.
E’ forse proprio quest’ultimo l’aspetto che maggiormente rileva nel discorso. A inizio 2021 è troppo presto per capire se le stime di crescita dovranno essere riviste e in quale direzione, così come se si materializzerà l’attesa reflazione e in quale misura. L’unica certezza è che l’euro ha guadagnato il 12,5% da maggio, cioè in appena 8 mesi. E a dicembre l’indice dei prezzi nell’Eurozona è sceso sottozero per il quinto mese di fila, segnando -0,3% annuo. Questo è il dato che più conta ai fini della comprensione delle prossime mosse dell’istituto. E fino a quando l’inflazione non si porterà stabilmente intorno o persino un po’ oltre il 2% (varrà il concetto di asimmetria temporale?), l’apparato degli stimoli monetari non sarà ridotto.