Il governo Draghi non è ancora nato, ma di certo si troverà ad affrontare un dossier scottante già nelle prime settimane dal suo insediamento. Banca Monte Paschi di Siena (MPS) ha chiuso il 2020 con una perdita di 1,7 miliardi di euro, che verrà seguita da un’altra di oltre mezzo miliardo, stando alle stime. A fine anno, l’istituto di Siena avrà bisogno di un’ennesima ricapitalizzazione da 2,5 miliardi. E sembra essere sfumata l’ipotesi del bond subordinato da 500 milioni. L’emissione non avverrà, stando alla stessa Rocca Salimbeni.
Super Mario mette le ali a MPS in borsa e il Tesoro già guadagna 200 milioni
La maxi-ricapitalizzazione sarebbe un bagno di sangue per il Tesoro, che già ha speso quasi 7 miliardi solo tra aumento e conversione delle obbligazioni subordinate in azioni nel 2017. Stando alla sua quota attuale del 64%, dovrebbe sborsarne altri 1,6 miliardi. In borsa, pur dopo il boom delle ultime sedute, MPS valeva ieri circa 1,35 miliardi, poco più della metà del prossimo aumento nell’aria.
Per uno scherzo del destino, il futuro di Siena sembra nelle mani di due importanti protagonisti di quell’operazione finanziaria così disastrosa nel 2007, da avere decretato il crac della banca più antica del mondo ad oggi in vita. Era il mese di novembre e Giuseppe Mussari dopo 3 telefonate in appena 2 giorni concorda con Emilio Botin, a capo di Santander, l’acquisto di Antonveneta per la stratosferica cifra di 9 miliardi. L’offerta superava di 1 miliardo quella di BNP Paribas. Peccato che solamente un mese prima, gli spagnoli avessero acquistato l’italiana dall’olandese ABN Amro per 6,6 miliardi, realizzando così una maxi-plusvalenza di quasi 2 miliardi e mezzo in appena 4 settimane.
Draghi e Orcel, il loro ruolo nel 2007
E sapete chi aveva suggerito a Santander il prezzo di vendita a MPS? Andrea Orcel, al tempo alla guida del team di Merrill Lynch, che fu nominato joint global coordinatore dell’operazione.
Draghi al tempo, però, era governatore della Banca d’Italia, l’organo di vigilanza del sistema bancario nazionale. Quell’operazione avvenne sotto il suo naso e con il suo consenso. Anzi, vi fu quasi un clima di compiacimento in quel finale di 2007 per il ritorno all’italianità di un asset che solamente due anni prima era finito in mani olandesi dopo la fallita scalata di Gianpiero Fiorani e l’avvio dell’inchiesta giudiziaria sui famosi “furbetti del quartierino”, che aveva portato alle dimissioni forzate il governatore Antonio Fazio, sino ad allora considerato potentissimo e vicinissimo agli ambienti ecclesiastici.
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Saranno ancora perdite per i contribuenti italiani
In un certo senso, Draghi e Orcel nei rispettivi ruoli di prossimo capo del governo italiano e CEO dell’unica banca sistemica italiana si troveranno a mettere una pezza a un problema originatosi al tempo in cui entrambi ebbero un ruolo non secondario nella vicenda, per quanto non si possa parlare di responsabilità dirette.
In alternativa, il Tesoro dovrebbe partecipare alla ricapitalizzazione, iniettando altri 1,5-2 miliardi di euro per rivendere la banca a circa 3,5 miliardi in meno di quanto sborsato nel 2017, sempre che il mercato prezzi del tutto l’ennesimo aumento. Nel frattempo, AMCO subirà quasi certamente perdite dai crediti deteriorati a prezzi nettamente superiori a quelli di mercato. E trattandosi di una società pubblica, il costo ricadrebbe ancora una volta sui contribuenti. Comunque vada, sarà un massacro per i conti pubblici.
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