Si riunisce questo giovedì, 10 marzo, il board della BCE per la seconda volta da inizio anno. E possiamo ben dire che mai, almeno negli ultimi anni, l’istituto si sia ritrovato in una condizione così difficile. Se con la pandemia le azioni da mettere in campo erano chiare, stavolta Christine Lagarde, i suoi consiglieri esecutivi e i governatori centrali dell’Eurozona rischiano di sbagliare qualsiasi cosa decidessero.
L’inflazione nell’Eurozona è salita al 5,8% a febbraio, ai massimi di sempre da quando esiste l’euro.
A dire il vero, poi, stanno rincarando anche molte altre materie prime, tra cui la farina e i metalli industriali. Insomma, l’inflazione nell’Eurozona rischia di tendere alla doppia cifra. Era impensabile fino a pochi mesi fa. Servirebbe reagire con la riduzione immediata degli stimoli monetari e il rialzo dei tassi, onde evitare che le aspettative d’inflazione nell’area di surriscaldino eccessivamente. Tuttavia, Lagarde ha gioco facile nell’affermare che una stretta monetaria non ridurrebbe i prezzi delle materie prime, né agirebbe sui colli di bottiglia, concausa forte del carovita subito dopo la fase acuta della pandemia.
Recessione economica e rischio spread
D’altra parte, l’economia dell’Eurozona corre il rischio di implodere con una mossa sbagliata. Già in queste settimane si percepisce che la recessione sia lo scenario principale con cui fare i conti nella prima metà dell’anno.
Ma può la BCE permettersi di non agire? L’inflazione va in un qualche modo contrastata. Risulta impensabile credere di mantenere intatta la reputazione con una crescita dei prezzi ormai tripla rispetto al target. E a maggior ragione mentre la Federal Reserve alzerà i tassi negli USA, così come hanno già iniziato a fare la Banca d’Inghilterra e quella del Canada. A questo punto, l’unica soluzione immaginabile sarebbe di intervenire nei prossimi mesi, accompagnando la stretta monetaria al mantenimento di una politica fiscale espansiva per sostenere l’economia.
Il rischio di tale opzione è duplice. In primis, potrebbe non funzionare, nel senso che l’inflazione continuerebbe a galoppare a causa degli stimoli fiscali, neutralizzando la stretta della BCE. Secondariamente, la crescita avverrebbe in maniera diseguale nell’area, con i paesi fiscalmente più solidi (Nord Europa) a potersi permettere di spendere e quelli più deboli (Italia, in testa) no. A meno che la BCE, nel ridurre o finanche azzerare gli acquisti dei bond, s’impegnasse a reinvestire la liquidità generata dalle scadenze in portafoglio con la massima flessibilità, così da spegnere eventuali focolai di tensione sui mercati finanziari nazionali. Servirebbe allo scopo un accordo politico, tuttavia, il quale ad oggi non è neppure nell’aria.