Il Fiscal Compact è stato spazzato via dal Coronavirus una volta per tutte?

Le politiche di austerità fiscale torneranno in auge dopo il superamento dell'emergenza Covid-19, anche se la riattivazione dei trattati europei in tema di bilanci pubblici non sarà per niente scontata.
4 anni fa
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Il 17-18 luglio, per la prima volta in tempi di Coronavirus i capi di stato e di governo dell’Unione Europea si riuniranno fisicamente a Bruxelles per discutere sulla messa a punto del “Recovery Fund”, il fondo da 750 miliardi di euro proposto dalla Commissione, di cui i due terzi in erogazioni a fondo perduto. Le spaccature tra gli stati restano quelle che sappiamo: Sud Europa a favore e Nord Europa contro. Austria, Olanda, Danimarca e Svezia hanno ribadito anche all’ultimo vertice in teleconferenza di essere ostili sia all’ipotesi degli aiuti senza obbligo di restituzione, sia delle modalità di ripartizione delle spese e di finanziamento del fondo.

In sostanza, vorrebbero quanto meno debito in comune emesso e quanta più corrispondenza tra aiuti ricevuti dai singoli stati ed esposizioni degli stessi verso il fondo. Insomma, chi prende paga.

Il debito pubblico italiano esplode, ma ci costa sempre meno emetterlo

In tutta l’Eurozona sono sorti problemi fiscali con l’emergenza Covid, anche se a passarsela peggio di tutti è l’Italia, per la quale il Fondo Monetario Internazionale stima adesso un crollo del pil del 12,8% per quest’anno, un deficit al 12,7% e un rapporto debito/pil al 166%. Anche Francia e Spagna oltrepasseranno – e di molto – la soglia di debito al 100%, arrivando rispettivamente al 125,7% e al 123,8%. Certo, sarebbero a distanza di oltre 40 punti percentuali rispetto a noi, ma sembra quasi che si tratti di una questione di tempo, prima che Parigi e Madrid acciuffino Roma. Un po’ com’è avvenuto a marzo con la curva dei contagi, quando sembrava che se la passassero molto meglio di noi, salvo scoprire un paio di settimane dopo che le cose stessero diversamente.

Per il 2021, l’FMI vede un rimbalzo del pil un po’ ovunque, con Italia, Spagna e Regno Unito a segnare tutti +6,3%, mentre la Francia crescerebbe del 7,3%.

I livelli di indebitamento, però, si ridurrebbero di qualche punto. Il ritorno ai rapporti pre-Covid appare tutt’altro che vicino e alla portata. Del resto, già la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09 aveva ridotto le distanze tra Italia e resto dell’Eurozona, esclusi paesi come Germania e Olanda, innalzando l’indebitamento di tutti. Prima di allora, il debito pubblico italiano doppiava quello francese e triplicava quello spagnolo. Prima del Covid, esso si attestava grosso modo a circa il 35% in più rispetto a entrambi.

Ora l’Italia in buona compagnia

Il deterioramento dei conti pubblici in Europa sembra una costante di crisi in crisi, fatta eccezione per un piccolo gruppo di paesi del Centro-Nord Europa. Tornare alle stesse regole fiscali dei decenni scorsi diventerà ancora più complicato un po’ per tutti, se è vero che Francia e Spagna, ad esempio, hanno impiegato quasi un decennio per tagliare il deficit sotto il 3% del pil. Questa verosimilmente resta la regola aurea della politica fiscale, se vogliamo, un dogma intoccabile per la Germania, una garanzia minima di gestione oculata dei bilanci nazionali. Ma il Patto di stabilità era stato nel tempo corroborato da un apparato di norme teso a concretizzarne le previsioni. Il Fiscal Compact nel 2012 stabilì le tappe con le quali giungere al secondo grande obiettivo agognato dai tedeschi: il rapporto debito/pil al 60%.

Quell’anno, i capi di stato e di governo si accordarono per un taglio progressivo di tale rapporto nel giro di 20 anni, tendendo al pareggio di bilancio e tagliando il deficit “strutturale”, quello al netto delle una tantum e tenendo conto il ciclo economico. Ma pensate che dopo il Covid, Parigi sia capace di dimezzare il suo grado di indebitamento nei prossimi decenni o che abbia anche solo voglia di affrontare una lunga fase di austerità fiscale per compiacere l’alleato di Berlino, quando ad oggi non si è mostrata in grado né di registrare un saldo primario in pareggio o attivo, né di tagliare la spesa pubblica dall’altissimo livello a cui si trova (56-57% del pil) o di riformare pensioni ed economia, date le imponenti e costanti proteste di piazza?

Fino a quando l’Italia era la sola grande economia con un problema di debito, naturale che tutti gli altri accettassero passivamente l’architettura delle regole fissate dai tedeschi.

Ma dopo questa crisi, nell’Eurozona sarebbe solo la Germania la grande economia con un rapporto debito/pil sotto il 100% e, per certi versi, il trend francese si mostra persino più preoccupante di quello italiano, data la bilancia commerciale in negativo e il deficit primario ancora sussistente a Parigi. Il ripristino delle vecchie regole non sarà né facile, né scontato, cosa che non implica un “tana libera tutti” sul piano fiscale. L’obiettivo di bilanci ordinati resterà un fondamento dell’area, ma probabilmente verrà incentivato da nuove previsioni, come il reimpiego dei proventi dei bond in scadenza e in pancia alla BCE a favore dei soli stati che mostrino deficit contenuti e debiti percentualmente calanti. Il futuro non potrà essere una fotocopia del passato.

Come il debito pubblico italiano continua a restare sostenibile grazie alla BCE

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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