Il governo Draghi sembra avere esaurito la spinta propulsiva dopo l’estate scorsa. Le tensioni tra e dentro i partiti che lo sostengono in Parlamento lo hanno logorato, rallentandone le azioni contro la crisi dell’economia italiana e la pandemia. La settimana passata, poi, è stata un disastro inimmaginabile per politica nella sua interezza e la persona del premier. Questi aspirava palesemente a salire al Colle, ma ha “scoperto” che nessun leader di partito concordasse. Dalla Lega al PD, è stata una gara dell’ipocrisia per dire no a “Super Mario” presidente, perché “serve a Palazzo Chigi”.
Nessuno aveva voglia di essere commissariato per i prossimi sette anni, così è stata scelta la soluzione meno indolore per tutti: lo status quo. Ora, però, arriva la parte più difficile per la politica italiana. Finito l’indegno teatrino sul toto-Quirinale, il premier dovrà tornare a governare con chi ne ha tradito le ambizioni presidenziali. Parliamo del ministro del Lavoro, Andrea Orlando, di quello per i Beni culturali, Dario Franceschini, e dell’Agricoltura, Stefano Patuanelli. Tra i ministri, unico ad essersi speso esplicitamente a suo favore è stato Giancarlo Giorgetti, esponente di una Lega che in questi giorni ne ha combinate di tutti i colori e che alla fine ha rimediato un grosso buco nell’acqua.
Con una squadra così sgangherata, il governo Draghi dovrà trovare la forza per cercare di frenare il caro bollette, il quale minaccia non solo i bilanci familiari, ma anche delle attività produttive. Ormai, a Palazzo Chigi sono tutti convinti che la crescita del 4,7% attesa per quest’anno rimarrà solamente tra le stime del DEF. Con ogni probabilità, si fermerà sotto il 4%. A questo punto, la soglia minima sotto cui non bisognerà scendere è il 3,5%. Solo in parte, però, le prospettive dipenderanno dall’azione di governo. La corsa delle materie prime, i colli di bottiglia e le tensioni tra Russia e Occidente saranno determinanti, così come l’evoluzione della pandemia.
Governo Draghi tra divisioni politiche e rischi economici
Ebbene, a proposito di quest’ultima, la narrazione ufficiale inizia a mutare in senso meno severo riguardo alla necessità di mantenere attive le restrizioni anti-Covid più dure. La stessa utilità del super green pass non è più considerata un dogma. Finché l’economia italiana correva, si poteva anche pensare di continuare a torchiare gli esercizi commerciali e, in generale, le attività produttive. Adesso che i dati ufficiali parlano di rallentamento, c’è paura che si passi dal maxi-rimbalzo alla stagnazione.
Il punto è che il governo Draghi esce fortemente indebolito dal caos della scorsa settimana. La figura del premier si eleva di ulteriori dieci palmi di mano rispetto ai nani da giardino della sua maggioranza, ma sta di fatto che le divisioni tra questi non gli consentiranno di implementare alcuna agenda economica efficace. Come farà, ad esempio, a portare a casa i 40 miliardi del Pnrr quest’anno? Essi richiedono decine di micro-riforme trasversalmente invise ai partiti. Nel frattempo, la BCE inizia a chiudere i rubinetti della liquidità. Le emissioni nette di debito pubblico dovranno in parte essere assorbite dal mercato. Questo significa esporsi al giudizio degli investitori, i quali ci osserveranno passo dopo passo per capire dove vada l’economia italiana.
Il rallentamento della crescita crea problemi al governo Draghi anche per i conti pubblici. Gli obiettivi fiscali rischiano di saltare. Il deficit è atteso al 5,6%, quando quest’anno il Portogallo aspira a centrare il 3,2%, un soffio dal limite del 3% del Patto di stabilità sospeso fino a tutto il 2022. I partiti ancora sperano di sfruttare i prossimi mesi per prepararsi alla campagna elettorale. Ma i loro sogni andranno a sbattere contro la realtà. Finita almeno la fase emergenziale della pandemia, si torna alla normalità anche sul piano della politica economica.