Vi ricordate l’arrivo concitato di Matteo Renzi a Palazzo Chigi nel febbraio di quest’anno? Sono passati appena 6 mesi e mezzo, ma sembra un’eternità. Il “rottamatore” e neo-segretario del PD prendeva il posto di un inconcludente Enrico Letta, costretto alle dimissioni, a causa dell’estrema impopolarità del suo esecutivo, oltre che per le ambizioni smisurate dell’ex sindaco di Firenze. L’incoronazione di Renzi a premier fu salutata come una svolta quasi epocale dalla grande stampa e persino quella avversaria guardava con un misto tra invidia e ammirazione il più giovane premier della storia italiana.
Il trionfo elettorale
Era il 25 maggio. Tutti (o quasi) pronosticano l’avanzata e forse anche la vittoria di Beppe Grillo alle elezioni europee. Avviene esattamente il contrario. Il PD, dato comunque forte nei sondaggi, arriva allo strepitoso risultato del 40,8%, la percentuale più alta mai ottenuta da un partito dai tempi della Democrazia Cristiana nel lontanissimo 1958. Per Renzi, più che per il PD, fu un trionfo immenso. Con l’opposizione inesistente nei numeri e nella sostanza, frammentata in partiti e partitini inconcludenti e in rissa tra loro e con alleati ridotti a consensi da prefisso telefonico, il premier ha ora tutte le condizioni per imporre la sua visione all’Italia e all’Europa, essendo divenuto il PD il partito più numeroso come componenti dentro al Pse nel Parlamento di Strasburgo.
I passi falsi in Europa
E, invece, inizia proprio dal 26 maggio il suo declino personale e di prestigio in Europa. Il 2 luglio scorso, Renzi pronuncia al Parlamento europeo il suo discorso di insediamento, in qualità di presidente di turno della UE. Anziché impostare un programma ambizioso e imporre una sua visione “forte” per l’Europa, si limita a chiedere un indebolimento del Patto di stabilità, che oltre ad essere quasi impossibile, appare ai più una sorta di baratto di affari personali. Si scaglia contro la Germania, rea di avere sforato il tetto del deficit proprio sotto la presidenza italiana del 2003. Per lui arrivano le critiche e immediate. Il capogruppo del PPE, il tedesco Manfred Weber lo contesta, il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, quasi lo deride in Germania. La cancelliera e il suo ministro delle Finanze, Wolfgang Schaeuble, cercano di tenere buoni i loro ministri e deputati, ma iniziano a mostrare sfiducia verso l’operato del governo Renzi. Lo stesso Mario Draghi, prima suo sponsor in Europa, ne prende vistosamente le distanze e invoca la cessione di sovranità sulle riforme, consapevole che in Italia altrimenti non arriveranno mai. APPROFONDISCI – Renzi accerchiato, Draghi minaccia la Troika per l’Italia sulle mancate riforme A Bruxelles, Renzi incassa il no alla Mogherini come Alto commissario per la politica estera. Troppo filo-russa, sostengono i partner europei, ma è il segno evidente della scarsa autorevolezza di cui gode il governo italiano a Bruxelles. APPROFONDISCI – Il vero test per Juncker? Le sanzioni alla Germania, Renzi ha sbagliato sulla flessibilità
Lo stallo in Italia
Nel frattempo, i risultati in Italia non arrivano.