Il governo vuole fare le pensioni a pezzi. Cosa ci aspetta dal 2022

Per il dopo quota 100 ci sono poche alternative di riforma. Ecco cosa ha in mente di fare il governo con le pensioni nel 2022.
3 anni fa
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Si avvicina la scadenza di quota 100 e, in concreto, una riforma pensioni ancora non c’è. Il rischio è che, in assenza di interventi, da gennaio 2022 si tornerà a lasciare il lavoro a 67 anni. O con 42 anni e 10 mesi di lavoro (12 mesi in meno per le donne).

Uno scalone di cinque anni, rispetto al pensionamento anticipato con le regole di quota 100. In pratica il requisito anagrafico salterebbe da 62 a 67 anni, sempre che nel 2023 non vengano aggiunti altre 3 mesi per effetto dell’incremento della speranza di vita.

La riforma delle pensioni

Al momento, per la riforma pensioni 2022, si sta ragionando sul potenziamento di quanto già esiste nel nostro ordinamento. In particolare Ape Sociale e Opzione Donna. Questa ultima dovrebbe semplicemente essere prorogata, magari aggiungendo un anno in più al requisito anagrafico.

Ape Sociale, invece, pare sarà estesa a un maggior numero di lavoratori usuranti. La commissione sui lavori gravosi ha aggiornato la lista delle mansioni da sottoporre al vaglio del Parlamento per una approvazione. Facile, quindi, che dal 2022 potranno lasciare il lavoro a 63 anni più persone che hanno svolto lavori usuranti.

Tutto ciò, però, non basta a sostituire quota 100. I dipendenti pubblici resterebbero tagliati fuori, così come tanti altri lavoratori che non rientreranno nella categoria dei lavori usuranti.

La pensione flessibile

Ecco quindi farsi strada la pensione flessibile proposta dall’Inps. Una uscita anticipata a 62 o 63 anni di età con penalizzazione. In pratica, per coinvolgere tutti i lavoratori italiani, si potrebbe concedere loro il pensionamento in due tranches.

La prima tranche – spiega il presidente dell’Inps Pasquale Tridico – consisterebbe in una uscita a 62 o 63 anni col calcolo della sola quota contributiva versata. La pensione sarebbe quindi liquidata solo a valere sulla parte dei contributi versati dal 1996 in poi e quindi meno onerosa per le casse dello Stato.

La seconda tranche, invece, arriverebbe al compimento dei 67 anni di età e riguarderebbe la parte di pensione i cui contributi sono stati versati prima del 1996.

Il calcolo avverrebbe in questo caso col sistema retributivo, più oneroso.

In buona sostanza, la pensione mista, quella finora pagata con le regole di quota 100, verrebbe sdoppiata. E questa pare sia la soluzione che al momento permetterebbe l’uscita anticipata per tutti senza pesare sui conti dello Stato.

Mirco Galbusera

Laureato in Scienze Politiche è giornalista dal 1998 e si occupa prevalentemente di tematiche economiche, finanziarie, sociali

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