Il grande inganno: l’oro della Fed sta in Cina

I caveaus di Fort Knox sono vuoti. L'oro è sempre più in mani asiatiche. Intanto i tedeschi hanno chiesto il rimpatrio, ma forse non vedranno mai un lingotto
11 anni fa
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A febbraio, è stata la banca centrale della Germania a creare uno scossone tra l’opinione pubblica mondiale, richiedendo il rimpatrio di tutto l’oro che nei decenni scorsi era stato inviato all’estero dalla Germania, in particolare, a Londra e negli USA, per proteggerlo da una possibile occupazione russa, dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Nei mesi scorsi, quindi, è partita la richiesta ufficiale dei tedeschi all’America, che ha risposto che il rimpatrio sarà effettuato nel giro di un paio di anni.

Perché tutto questo tempo per spostare alcune tonnellate di metallo da un paese ad un altro? Semplice. La Federal Reserve non ha più fisicamente l’oro dei tedeschi. Anzi, ha forse ben poco del proprio stesso oro. Il dubbio è sorto con maggiore insistenza, dopo che un giornalista del quotidiano economico Handelsblatt era stato invitato tempo fa a far visita ai forzieri della mitica Fort Knox, per verificare di persona la presenza dei lingotti. Che risultavano esserci. Peccato che qualcuno insinui il dubbio che si tratti solo di pezzi di metallo con una passata di giallo dorato all’esterno.

 

Scambi fatali di riserve auree?

Comico, vero? Ma che fine avrebbe fatto l’oro che gli USA ritengono di possedere per circa 8.500 tonnellate? Si trova in Asia, soprattutto, in Cina. Il sistema funziona così: una banca centrale cede in locazione un certo quantitativo d’oro a una “bullion bank”, la quale, in teoria, funge solo da depositante. Tuttavia, tutti sanno che nei fatti queste banche a loro volta vendono con clausola di riscatto o affittano l’oro, facendosi rilasciare in cambio certificati o trasferendo il metallo fisicamente al compratore. E pensate che con l’impennata dei prezzi degli ultimi dieci anni, quando l’oro è passato dai 300 fino ai 1920 dollari l’oncia, le banche non ne abbiano approfittato per fare affari?

A chi avrebbero venduto l’oro? Direttamente o tramite vari intermediari, è probabile che il metallo prezioso abbia raggiunto l’Asia, in particolare, la Cina, che insieme all’India è il più grande consumatore di oro al mondo.

 

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Nei soli primi otto mesi del 2013, il settore privato cinese ha comprato oro per 1.730 tonnellate e per un ritmo annuo di 2.600 tonnellate all’anno. Ma la Cina produce oro per sole 440 tonnellate ogni anno, mentre il resto del pianeta non va oltre le 2.260 tonnellate.

E’ evidente che non siano state sufficienti le nuove estrazioni minerarie ad assicurare la fame di oro in Asia, ma che siano avvenuti trasferimenti dalle banche centrali occidentali, anche al fine di calmierare i prezzi.

Eppure, il World Gold Council fa sapere che la vendita di oro delle banche centrali europee aderenti al Central Bank Gold Agreement siglato nel 1999 per coordinare le cessioni, siano state negli ultimi cinque anni ai minimi dal 1988 e pari a sole 5 tonnellate, tutte per mano della Bundesbank. E all’accordo partecipano l’Area Euro, la Svezia e la Svizzera.

Ora, due le cose: o a vendere siano effettivamente le banche centrali esterne alla CBGA, o le cose sono un pò più complesse, nel senso che anche nell’Eurozona abbiamo venduto oro ai cinesi, ma formalmente ciò non è avvenuto, perché ci siamo limitati a trasferire fisicamente o tramite certificati lingotti alle “bullion banks”, rimanendone, però, i legittimi proprietari.

Anche se le cose stessero così, sarebbe una magra consolazione, perché la Cina avrebbe intanto espanso le sue riserve di oro fisico fino a 4000-8000 tonnellate, nonostante le cifre ufficiali. In Asia, si scommette sulla fine del dollaro quale valuta adi riserva mondiale e sulla creazione di un nuovo ordine monetario, similmente al gold standard imperante nella variante di Bretton Woods in Occidente fino al 1971.

Al contrario, noi europei e americani ci stiamo privando nei fatti di quell’opzione, avendo mandato in giro per tutto il pianeta oro che difficilmente tornerà indietro, visti i possibili vari passaggi di mano necessari per il rimpatrio.

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