A dicembre la produzione industriale in Germania è diminuita dell’1,6% mensile e del 3% annuale, peggio delle previsioni. Su base annua si è trattato del settimo calo consecutivo, mai un periodo così nero da quando sono iniziate le rilevazioni dei dati. E’ probabile che il PIL tedesco registri una variazione negativa anche nel trimestre in corso. Sarebbe recessione ufficiale. Nel 2023 è stata l’unica economia del G7 ad avere avuto il segno meno. E quest’anno dovrebbe crescere di uno zero virgola, meno di Italia, Francia e Spagna.
Governo Scholz impopolare e debole
Di sicuro c’è che l’economia tedesca perde competitività. Questa era sorretta da energia a basso costo importata dalla Russia, che consentiva alle imprese domestiche di esportare in grossi mercati come la Cina, divenuti meno accessibili dopo pandemia e tensioni geopolitiche. Come se non bastasse, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale non c’era mai stato a Berlino un governo federale così scadente. Siamo abituati a pensare cancellieri del tenore di Konrad Adenauer, Helmut Kohl, Angela Merkel. A confronto, Olaf Scholz è una figura imbarazzante. E difetta persino di una maggioranza parlamentare eterogenea. Per la prima volta dal Secondo Dopoguerra, nell’esecutivo vi sono tre partiti. E tutti diventati impopolarissimi.
Recessione tedesca un guaio per l’Italia
Socialdemocratici, liberali e verdi non hanno nulla in comune se non la necessità di calciare il barattolo per arrivare a fine legislatura. Gli ambientalisti invocano il massimalismo sulla transizione energetica. La sinistra vorrebbe allentare le regole fiscali, mentre i liberali capeggiati dal declinante ministro delle Finanze, Christian Lindner, sono per renderle più severe.
Il problema è che la Germania vale quasi il 30% del PIL dell’intera Eurozona. Se va male, il resto dell’area non se la passa bene. L’Italia ne sa qualcosa. Verso di essa esportiamo merci per 70-80 miliardi di euro all’anno. Fanno all’incirca 4 punti del nostro PIL. E una Germania in recessione o che non cresce, importa di meno e manda in crisi anche il nostro tessuto produttivo.
Germania senza piani contro la crisi europea
Ma il guaio vero è che la Germania non è brava a gestire le crisi, sia interne che all’infuori dei suoi confini. Lo vedemmo nel decennio scorso quando gli spread esplosero e l’euro fu sul punto di saltare in aria. I tedeschi non seppero presentare né un piano A, né un piano B. E di fatti l’Eurozona è stata relegata ai margini della crescita e della politica mondiali. Ma finché le cose in patria andavano bene, perlomeno si poteva supporre che a Berlino ci fosse la capacità di sfruttare le tensioni a proprio favore.
Adesso è proprio la Germania l’epicentro della crisi europea. E ancora una volta non ha alcun rimedio per porvi fine. Il paese è nel caos. Proteste di agricoltori, lavoratori e destra euro-scettica in forte crescita di consensi. La stabilità dei prezzi è andata a farsi benedire dopo quasi un secolo trascorso a custodirla gelosamente. Per la prima volta dopo decenni il governo non è più certo nemmeno di poter garantire la stabilità dei conti pubblici, né della sua stessa maggioranza.
Germania ostaggio dei tabù
La Germania dovrebbe reinventare, ma non sembra in grado. E’ paralizzata dai tabù che si è autoimposta nel tentativo di rendere culturalmente omogeneo a sé il resto dell’Unione Europea. Si batte contro un bilancio comune per finanziare la transizione energetica, ma nei fatti è l’unico modo per scampare alle restrizioni dei bilanci nazionali. Non si fida dei suoi partner, rifiutandosi di emettere debito insieme a loro (i famosi Eurobond). La sua speranza è che tutto torni a com’era prima, magari che l’economia tedesca ne esca come avvenne dopo la crisi finanziaria mondiale del 2008-’09, ossia più forte e relativamente potente. Ma i tempi della globalizzazione rampante e di gas e petrolio dalla Russia a buon mercato sono alle spalle. E forse non tornano più.