Il modello svedese nella lotta al Covid-19 ha funzionato davvero?

Niente "lockdown" a Stoccolma, dove il governo si è limitato a blande restrizioni e a "suggerire" alla popolazione comportamenti prudenti. Vediamo cosa dicono i numeri.
4 anni fa
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Il governo di Stefan Loefven ha annunciato che a partire dal mese di ottobre verrà rimosso il divieto di recarsi in visita nelle case di cura. Stoccolma sta allentando le già blande restrizioni imposte nella primavera scorsa contro la diffusione del Covid-19, mentre tutti gli altri governi europei sono in allerta sull’impennata dei contagi nelle ultime settimane. Ancora una volta, la Svezia va controcorrente e può permetterselo grazie ai più bassi nuovi casi che sta registrando dal marzo scorso.

La media settimanale al martedì scorso è scesa a 108 al giorno, pari a 22,2 casi ogni 100 mila abitanti, nettamente inferiori ai 279 della Spagna, ai 158,5 della Francia e ai 59 del Regno Unito.

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Bassa anche l’incidenza dei nuovi positivi in rapporto al numero dei tamponi effettuati: 1,2%. In Italia, siamo nell’ordine dell’1,5%. E fa specie che questi numeri escano fuori da un paese, che non ha imposto un vero “lockdown”. A marzo, quando un po’ tutta Europa chiuse gran parte delle attività economiche e restrinse la libertà di movimento degli abitanti, il governo svedese si limitò a suggerire alla popolazione alcuni comportamenti prudenti.

Furono vietati gli assembramenti sopra le 50 persone, così come le scuole vennero chiuse per gli studenti dai 16 anni in su, restando aperte per tutti gli altri. Per il resto, la vita è andata avanti grosso modo come prima in questi mesi, attirando le critiche di quanti all’estero hanno guardato con orrore ai mezzi pubblici pieni e a bar e ristoranti aperti.

Sin dall’inizio, Stoccolma si è difesa sostenendo che il suo modello sia stato impostato sulla specificità culturale degli abitanti. “Non siamo soliti abbracciarci come italiani o spagnoli” dichiararono dall’esecutivo. Presunzione per mascherare la volontà di non colpire l’economia domestica più di tanto o misure efficaci nella lotta alla pandemia?

I numeri ci dicono che la Svezia ha registrato 0,57 morti per Covid ogni 1.000 abitanti.

E il numero dei decessi rapportato al totale dei contagi si è attestato al 6,7%. A titolo di confronto, l’Italia ad oggi registra circa 0,59 morti per ogni 1.000 abitanti e un tasso di mortalità del 12,3%.

Il confronto con il resto della Scandinavia

Ma il confronto andrebbe effettuato più che altro con gli altri stati scandinavi, dove le condizioni socio-culturali, geografiche e climatiche risultano assai simili. Ebbene, troviamo che la Finlandia abbia registrato 0,06 morti ogni 1.000 abitanti e una mortalità del 3,86%. In Danimarca, 0,11 morti ogni 1.000 abitanti e mortalità al 3%. In Norvegia, 0,05 morti ogni 1.000 abitanti e mortalità al 2,16%.

In pratica, i morti svedesi per Covid risulterebbero circa 10 volte più alti che in Finlandia e Norvegia e 5 volte la Danimarca. E il tasso di mortalità sarebbe triplo rispetto alla Norvegia e sostanzialmente doppio di Danimarca e Finlandia. Sulla base di questi numeri, l’epidemiologo Anders Tegnell, che ha ispirato la linea morbida del governo, ha ammesso a giugno che non si attendeva così tanti decessi per Covid, quasi facendo “mea culpa” in pubblico.

E l’economia? Pil crollato dell’8,3% nel secondo trimestre rispetto al primo e del 7,7% su base annua. In Finlandia, abbiamo rispettivamente -4,5% e -6,4%, in Danimarca -6,9% e -8,2%, in Norvegia -5,1% e -4,7%. Tirando le somme, l’economia svedese non sarebbe granché stata risparmiata dalle restrizioni soft, anche perché ha accusato il colpo della congiuntura mondiale, dato che le esportazioni qui incidono per circa il 47% del pil. In definitiva, il modello svedese non esisterebbe, nel senso che se lo seguissimo non otterremmo con ogni probabilità risultati migliori in termini di vite umane ed economici. A dimostrazione di quanto sia difficile fare la scelta giusta in questa emergenza.

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Giuseppe Timpone

In InvestireOggi.it dal 2011 cura le sezioni Economia e Obbligazioni. Laureato in Economia Politica, parla fluentemente tedesco, inglese e francese, con evidenti vantaggi per l'accesso alle fonti di stampa estera in modo veloce e diretto. Da sempre appassionato di economia, macroeconomia e finanza ha avviato da anni contatti per lo scambio di informazioni con economisti e traders in Italia e all’estero.
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