Il pil in Giappone si è contratto del 6,3% su base annua nell’ultimo trimestre del 2019. I numeri ufficiali appena pubblicati da Tokyo mostrano il primo ripiegamento della terza economia mondiale dopo 4 trimestri e il peggiore dal 2014. Ad avere alimentato il tonfo sono stati il tifone Hagibis e l’aumento dell’IVA dall’8% al 10% sin dallo scorso ottobre. Dovrebbero trattarsi di due effetti transitori, destinati ad essere superati già probabilmente dal trimestre in corso. Senonché, il dato molto negativo è arrivato prima del diffondersi del Coronavirus in Cina e, in misura assai inferiore, nel resto nel mondo, con contraccolpi economici da non sottovalutare.
Tornando al pil e concentrandoci sulla contrazione congiunturale dell’1,6%, troviamo che la domanda aggregata interna in Giappone ha sottratto 2,1 punti percentuali al pil, a causa di investimenti in calo del 3,7% e di consumi deboli. Al contrario, la domanda esterna (esportazioni) ha contribuito positivamente per lo 0,5%. Tuttavia, con la Cina l’interscambio non sta andando bene già da tempo. Nell’intero 2019, le esportazioni nipponiche verso il Dragone asiatico sono diminuite del 7,6%.
Adesso, la situazione sarebbe in netto peggioramento, dato il vistoso rallentamento dell’economia cinese nel trimestre in corso, causato proprio dal Coronavirus. La principale fonte di domanda cinese per il Giappone arriva dal turismo. Nell’ultimo decennio, i visitatori stranieri sono più che triplicati, arrivando a 31 milioni nel 2018. Di questi, il 30% arriva dalla Cina. Evidente come la pandemia e la conseguente messa in quarantena di un’ampia fetta della popolazione cinese da parte delle autorità di Pechino faranno crollare le presenze a Tokyo, potenzialmente contribuendo a trascinarne l’economia in recessione, nel caso in cui la contrazione congiunturale del pil si verificasse anche nel trimestre in corso.
Giochi Olimpici a Tokyo verso il flop?
Il Giappone risulta il secondo paese più colpito al mondo dal Coronavirus dopo la Cina con 400 casi accertati, avendo già registrato un decesso.
Gli analisti indipendenti sinora stimano mediamente in circa mezzo punto percentuale il contraccolpo sul pil cinese per il 2020. Se, però, la pandemia non fosse contenuta entro la metà dell’anno, gli stessi paventano numeri ben peggiori, con una crescita economica attesa fin sotto il 5%. L’impatto per l’intera economia mondiale sarebbe forte, perché la Cina risulta prima consumatrice di svariate materie prime e pesa da sola per circa un settimo dell’intero petrolio estratto nel pianeta. Lo stop alla produzione delle imprese, nei fatti perseguito da Pechino con l’estensione delle festività legate al Capodanno Lunare, si sta ripercuotendo negativamente sui conti di centinaia di multinazionali, specie quelle con sede nella provincia di Hubei, epicentro del Coronavirus.
Le minori esportazioni cinesi peseranno ovviamente sull’economia domestica, ma al contempo provocheranno cali alla produzione e alle vendite sui mercati importatori di semi-lavorati, componentistica e anche di prodotti finiti. Per fare un esempio, se una società a Wuhan non fornisce le marmitte a una casa automobilistica tedesca, questa dovrà rinviare a sua volta la produzione negli stabilimenti all’estero e nella stessa Germania, rallentando le vendite e impattando negativamente sui suoi ricavi e, a cascata, sul pil tedesco. Gli investitori sono in allarme e il ricalcolo dei dati sui casi di contagio e sui decessi nell’ultima settimana a Pechino sta rendendo l’idea di un paese o che abbia nascosto sinora la gravità della situazione o non sia stato in grado di capirla e gestirla al meglio.