Con la presentazione di una mozione di sfiducia al governo Conte, la Lega di Matteo Salvini ha staccato definitivamente la spina alla maggioranza “giallo-verde”. Era destino che accadesse ed è accaduto, perché la politica è fondamentalmente scienza. Saranno elezioni anticipate per ottobre? Nascerà un nuovo governo di profilo politico o tecnico? Lo vedremo nel prosieguo di questo mese di agosto. Per adesso, l’unica certezza è che l’Italia debba porre fine all’anomalia in cui si è ritrovata negli ultimi 14 mesi, con il paradosso di essere tra i paesi dell’euro fiscalmente più virtuosi al sud, ma di pagare i rendimenti di gran lunga più alti sui suoi titoli del debito pubblico, ad eccezione della Grecia, a causa dei timori del mercato per scelte fiscali che cozzino contro la linea della Commissione europea.
Ecco perché il debito pubblico italiano con questi numeri ci condanna all’austerità
Lo spread tra BTp e Bonos a 10 anni è esploso fino ai 160 punti base nelle ultime sedute. Troppo, non rispecchia i fondamentali delle due economie, peraltro entrambe in crisi politica, visto che se Roma piange, Madrid non può certo ridere, avviandosi verso le quarte elezioni politiche in meno di 36 mesi. Cosa ha fatto impennare i rendimenti italiani? Due fattori: una politica economica del governo Conte percepita come confusa e incapace per questo di assecondare la crescita dell’economia; toni di scontro con Bruxelles sui conti pubblici e l’euro, tali da avere fatto temere per una perseguita uscita dall’euro dell’Italia da parte di Movimento 5 Stelle e Lega.
In realtà, questo governo uscente non si è mai per un solo istante posto l’obiettivo di tornare alla lira. Non ne avrebbe avuto né le spalle larghe per gestire un processo così epico, né un vero mandato politico in tal senso. Gli investitori non hanno ad oggi compreso che l’Italia sia un popolo affollato da burloni, da gente a cui piace spararla grossa, senza mordere e salvo tirarsi indietro alla prima occasione utile.
L’Italia non approfitta dei tassi a zero
E, però, mentre i rendimenti viaggiano ormai ovunque in territorio negativo fino alla scadenza di almeno 9-10 anni, in Italia iniziano a offrire qualcosa già dagli 1-2 anni. Vero, la nostra curva giace quasi ai minimi storici, esitando un costo calante per servire il debito pubblico, ma è come se ci venisse messo a disposizione un fiume davanti agli occhi e non ne approfittassimo, accontentandoci di raccogliere un secchiello d’acqua. Il crollo del petrolio sotto i 60 dollari fa ben sperare, perché “raffreddando” le aspettative d’inflazione finirà con il costringere la BCE a intervenire nuovamente con azioni di allentamento della sua politica monetaria. I tassi resteranno bassi forse ancora per anni, i rendimenti sovrani negativi chissà per quanto lungo gran parte delle curve.
Il prossimo governo, chiunque lo guidi, dovrà porre fine a quelle due cause che sinora ci relegano insieme alla Grecia tra gli emittenti fin troppo “generosi”. Come? Segnalando la conduzione di una politica fiscale responsabile, che non significa timida o rinunciataria. Essa dovrà basarsi sulla riattivazione della crescita tramite tagli alle tasse, coperti finanziariamente con altrettanti tagli pluriennali alla spesa pubblica, al contempo irrobustendo gli investimenti pubblici, anche attraverso regole meno imbriglianti per gli appalti. Le intemperie verbali vanno evitate, specie quelle che scioccamente minacciano la nostra permanenza nell’euro. Anche in questo caso, non si tratta di non fare valere le nostre ragioni con i commissari o le cancellerie europee, semmai di farlo senza scardinare il sistema economico-finanziario in cui ci collochiamo.
I profeti di sventura vedranno nei prossimi mesi nuovi disastri in arrivo. Lo fanno da anni, prevedendo catastrofi bibliche sull’euro, sul fallimento dell’Italia e di altri stati. Nulla di tutto questo accadrà. Anzi, sussistono tutte le condizioni esterne per gestire in maniera oculata le finanze pubbliche e per condurre una politica economica più razionale. Se lo spread con la Spagna si riducesse, ad esempio, a 50 punti, come prima del governo Conte, i nostri rendimenti decennali scenderebbero sotto l’1%, i maggiori risparmi a carico dei contribuenti andrebbero a finanziare altre misure di spesa più produttiva e/o la riduzione del carico fiscale, oppure migliorerebbero i conti pubblici. E i capitali affluirebbero nuovamente anche verso il settore privato, che – ricordiamocelo – è esso il motore della nostra economia, non lo stato.
La Germania è sulla strada per azzerare gli interessi sul suo debito pubblico