Con la circolare 19 marzo 2012 n. 9/E e successivamente con la circolare 12 aprile 2012 n. 12/E, l’Agenzia delle Entrate ha spiegato ai propri uffici le modalità operative per lo svolgimento del nuovo istituto del reclamo e della mediazione tributaria. Come peraltro già anticipato, il nuovo istituto, obbligatorio per gli atti dall’Agenzia delle entrate di importo inferiore a 20.000 euro emessi successivamente al 1° aprile 2012, non comportata ulteriori appesantimenti burocratici. L’unico onere richiesto ai contribuenti è quello di preservare il ricorso entro i termini consueti, unendo altresì una istanza di reclamo nel quale, eventualmente, includere la proposta di mediazione e tutti gli allegati cui si riferiscono le motivazioni al ricorso (nella circolare è inclusa un fax simile di istanza di reclamo).
Reclamo tributario e mediazione: differenze e analogie
Per ben comprendere la reale portata della novella in commento, occorre preliminarmente chiarire che il reclamo e la mediazione sono due cose ben diverse:
- il reclamo è norma di carattere generale ed obbligatoria, da osservare a pena di inammissibilità del ricorso, e riguarda tutti gli atti impugnabili emessi dall’Agenzia delle Entrate, notificati a decorrere dal 1 aprile 2012, il cui valore della lite non è superiore a 20.000 euro;
- la mediazione, invece, è una procedura facoltativa da esperire eventualmente all’interno della procedura del reclamo per cercare di risolvere la lite senza adire il Giudice tributario (è, in pratica, la “fotocopia” della conciliazione giudiziale soltanto che, a differenza di questa, si esperisce prima di avere incardinato il contenzioso tributario – peraltro il comma 1 prevede espressamente che la conciliazione giudiziale in caso di reclamo “è esclusa”).
- La stessa Agenzia, illustrando il nuovo istituto, lo definisce “mediazione tributaria” (o anche procedimento di mediazione o solo mediazione) e ciò, a parere di chi scrive, ingenera un minimo di confusione perché “la mediazione” è soltanto una eventuale alternativa offerta alle parti dal legislatore per definire la lite potenziale, mentre “il reclamo” – che è obbligatorio – è già un atto del processo tributario: infatti la stessa circolare n. 9/E/2012 chiarisce che “Si tratta di uno strumento deflativo del contenzioso, con il quale si prevede la presentazione obbligatoria di un’istanza che anticipa il contenuto del ricorso, nel senso che con essa il contribuente chiede l’annullamento totale o parziale dell’atto sulla base degli stessi motivi di fatto e di diritto che intenderebbe portare all’attenzione della Commissione tributaria provinciale nella eventuale fase giurisdizionale”.
Ricorso tributario: la procedura da seguire
In estrema sintesi, la detta istanza si chiama “reclamo” ma va letta “ricorso”: infatti, copia identica della medesima – come si chiarirà meglio oltre – andrà depositata entro 30 giorni dal termine presso la Commissione tributaria provinciale per la costituzione in giudizio.
- individuazione degli atti obbligatoriamente soggetti a reclamo;
- modalità e termini di presentazione del reclamo all’Ufficio;
- la eventuale proposta di mediazione da parte del contribuente;
- il comportamento dell’Ufficio: la risposta al reclamo, la formulazione di una propria proposta di mediazione, la mancata
- risposta;
- i riflessi sul processo tributario della mancata definizione della lite tributariaa seguito della proposizione del reclamo;
- l’introduzione del giudizio tributario in caso di mancata definizione del reclamo.
Le valutazioni che vengono poste in essere da un ufficio diverso ed autonomo rispetto a quello che ha emesso l’atto (vengono indicati gli uffici legali delle direzioni provinciali o regionali), vanno oltre la correttezza delle elucubrazioni o le valutazioni di merito effettuate nell’atto di accertamento o, più in generale, dell’atto impugnabile emesso dall’Agenzia delle Entrate. Le valutazioni devono includere:
1) incertezza delle questioni controverse;
2) grado di sostenibilità della pretesa;
3) principio di economicità dell’azione amministrativa.
Nella sostanza, l’istituto obbliga l’Agenzia delle entrate a valutare una seconda volta l’atto emesso sotto il profilo processuale, valorizzando l’esperienza maturata in tale senso dai propri uffici legali.
Reclamo tributario: per quali atti è ammesso
Punto di partenza è la individuazione degli atti obbligatoriamente soggetti a reclamo e di quelli esclusi. Il contribuente cui verranno notificati atti impositivi a decorrere dal 1 aprile 2012 dovrà preliminarmente valutare se tale atto rientra o meno tra quelli “reclamabili” perché l’esito di questa valutazione conduce a due diversi tipi di impugnazione: – se “reclamabile”, per l’impugnazione occorre obbligatoriamente seguire la nuova procedura introdotta dall’art. 17-bis del D.Lgs. 546/92;
– se non è “reclamabile”, l’impugnazione sarà fatta con i consueti criteri. In termini operativi, il nuovo istituto ha diviso gli atti impugnabili in due categorie: quelli “reclamabili” e quelli che “reclamabili” non sono.
Per individuare gli atti “reclamabili” occorre fare riferimento alle condizioni poste dall’art. 17-bis, comma 1, che si riferisce a “controversie di valore non superiore a 20.000 euro, relative ad atti emessi dall’Agenzia delle Entrate”; l’art. 39, comma 11, del D.L. 98/2011 stabilisce che le disposizioni del citato art. 17-bis si applicano agli atti suscettibili di reclamo notificati a decorrere dal 1 aprile 2012.
Pertanto, debbono sussistere congiuntamente tre requisiti:
- controversia di valore non superiore a 20.000 euro;
- atto emesso dall’Agenzia delle Entrate;
- notificato a decorrere dal 1 aprile 2012.
Si sottolinea il fatto che il comma 2 dell’art. 17-bis espressamente prevede che “La presentazione del reclamo è condizione di ammissibilità del ricorso. L’inammissibilità è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio”. Pertanto la presentazione del reclamo, in caso di atto obbligatoriamente soggetto a tale istituto, è condizione di ammissibilità del successivo ricorso, qualora non si trovi accordo alcuno con l’Ufficio e si intenda impugnare l’atto: quindi la valutazione preliminare tra atto “reclamabile” e “non reclamabile” è delicatissima perché può pregiudicare insanabilmente l’esito del contenzioso. L’art. 17-bis, comma 3, precisa che il valore della controversia “è determinato secondo le disposizioni di cui al comma 5 dell’articolo 12” del D.
Il citato articolo 12, comma 5, a sua volta prevede che per valore della lite si intende:
– l’importo del tributo al netto degli interessi e delle eventuali sanzioni irrogate con l’atto impugnato;
– in caso di controversie relative esclusivamente alle irrogazioni di sanzioni, il valore è costituito dalla somma di queste.
La circolare n. 9/E/12, ai par. 1.3 e 1.4, ha chiarito che:
- qualora un atto si riferisca a più tributi (per esempio, IRPEF e IRAP ovvero imposta di registro, ipotecaria e catastale) il
- valore deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione da parte del contribuente;
- in presenza di impugnazione cumulativa avverso una pluralità di atti, la necessità di uno specifico e concreto nesso tra l’atto impositivo oggetto dell’istanza di mediazione e le contestazioni formulate dal contribuente, richiesto dall’art. 19 del D.Lgs. 546/92, impone di individuare il valore della lite con riferimento a ciascun atto impugnato con il ricorso cumulativo. Ne consegue che, in relazione agli atti aventi un valore non superiore a 20.000 euro, il contribuente è tenuto ad osservare in ogni caso la procedura prevista dall’art. 17-bis del D.Lgs. 546/92;
- relativamente alle controversie aventi ad oggetto il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, il valore della controversia va invece determinato tenendo conto dell’importo del tributo richiesto a rimborso, al netto degli accessori;
- nel caso in cui l’istanza di rimborso riguardi più periodi d’imposta, occorre fare riferimento al singolo rapporto tributario sottostante al singolo periodo d’imposta. Pertanto, in tali ipotesi il valore della lite è dato dall’importo del tributo richiesto a rimborso per singolo periodo di imposta;
- in ipotesi di avviso di accertamento che si limiti a ridurre o ad azzerare la perdita dichiarata (senza accertamento di un reddito), il valore è determinato sulla base della sola imposta “virtuale”, che si ottiene applicando le aliquote vigenti per il periodo d’imposta oggetto di accertamento all’importo risultante dalla differenza tra la perdita dichiarata, utilizzata e/o riportabile e quella accertata;
- qualora, a seguito della rettifica della perdita, l’avviso di accertamento rechi anche un imponibile o, comunque, un’imposta dovuta, il valore è, invece, dato dall’importo risultante dalla somma dell’imposta “virtuale” e dell’imposta commisurata al reddito accertato;
- in caso di accertamento che rettifica in aumento l’imposta dovuta da persona fisica che aveva utilizzato una perdita d’impresa per ridurre altri redditi, il valore della lite è dato dalla maggiore imposta accertata e dalla imposta “virtuale” relativa alla eventuale parte di perdita riportabile;
- il valore della lite va determinato al netto dei contributi previdenziali e assistenziali accertati.
- In termini operativi, quindi, gli atti interessati al reclamo saranno certamente molto numerosi in quanto, numericamente, la maggior parte degli atti impositivi è di importo fino a 20.000 euro; occorrerà, però, fare attenzione e non confondersi tra l’importo complessivo dell’atto, cioè l’importo che il contribuente dovrebbe pagare se l’atto divenisse definitivo, ed il valore della lite, poiché atti dal valore complessivo almeno di 40.000 euro (imposte + sanzioni) saranno oggetto di reclamo obbligatorio (perché il valore delle sole imposte sarà fino a 20.000 euro).
La corretta determinazione del valore della lite, peraltro, ha anche un ulteriore riflesso poiché, se superiore ad euro 2.582,28, impone l’assistenza tecnica da parte di un difensore abilitato.