La Reserve Bank of New Zealand ha appena annunciato il primo rialzo dei tassi dopo 7 anni. L’ultimo risaliva al 2014. Il cosiddetto “cash rate” è stato ritoccato all’insù di un quarto di punto percentuale allo 0,50%. L’istituto ha precisato che “ulteriori riduzioni degli stimoli monetari sono attesi nel prossimo futuro sulla base dell’outlook di medio-termine per inflazione e disoccupazione”. Una prima stretta monetaria era attesa già per settembre, ma era stata rinviata dal board. L’inflazione in Nuova Zelanda è salita al 3,3% nel secondo trimestre di quest’anno, trainata da una forte ripresa dell’economia dopo l’impatto negativo accusato per effetto della pandemia.
Quello di Wellington non è esattamente il primo rialzo dei tassi per un’economia sviluppata in era Covid. Il paese è stato anticipato da Corea del Sud, così come anche da Norvegia e Repubblica Ceca. Ad ogni modo, segnala una tendenza in atto. L’era degli stimoli monetari sembra volgere al termine, anche perché tutte le principali banche centrali stanno dovendo fare i conti con tassi d’inflazione nettamente sopra i rispettivi target. Tassi troppo bassi e acquisti dei bond non sembrano più sostenibili a lungo.
Rialzo dei tassi e impatto sui rendimenti dei bond
Proprio per i bond il segnale arrivato anche dalla Nuova Zelanda appare sempre più negativo. L’avvio del “tapering” anche nell’Eurozona è ormai questione di quando, non di se. A dire il vero, già con il board di settembre la BCE ha annunciato il rallentamento degli acquisti con il PEPP, ma lo ha fatto in un modo troppo ambiguo per far passare il messaggio di un taglio degli stimoli. Esso verosimilmente sarà reso noto entro la fine dell’anno, anche perché cresce il fronte di chi, già all’interno del board, ritiene che l’inflazione sia tutt’altro che transitoria.
Il rialzo dei tassi in vista presso le economie avanzate colpirà in misura eclatante il mercato dei bond? Sì e no.