Mercoledì scorso, il presidente russo Vladimir Putin ha annunciato che accetterà solamente pagamenti in rubli da parte dei clienti di stati “non amici”, vale a dire europei e USA. Niente dollari ed euro, quindi. Per tutta risposta, il tasso di cambio tra dollaro e rublo è crollato sotto quota 100, con la valuta emergente ad essersi rafforzata decisamente rispetto ai minimi storici toccati a febbraio dopo l’invasione russa dell’Ucraina. A un certo punto, il cambio si era portato fino a 95.
Il rafforzamento del rublo è stato dovuto alla prevista maggiore domanda in arrivo dall’Europa. In teoria, sin dai prossimi giorni le società importatrici del Vecchio Continente dovranno comprare rubli per acquistare gas da Mosca. E ciò sostiene le quotazioni della valuta emergente. Tuttavia, non è detto che tale effetto duri nel tempo. Per prima cosa, i governi europei si stanno mostrando restii ad ottemperare alla richiesta del Cremlino. I contratti a lungo termine siglati con Gazprom prevedono pagamenti in dollari o euro. Pertanto, l’Italia ha annunciato che continuerà a pagare in euro.
Come funziona oggi con le forniture di gas russo
In teoria, spiega Commerzbank, i pagamenti in rubli non violerebbero le sanzioni dell’Occidente, dato che possono avvenire attraverso banche commerciali non oggetto di embargo. Ad ogni modo, i clienti potrebbero eccepire che si tratti di violazione delle clausole contrattuali siglate tra le parti. In quel caso, non pagherebbero in rubli, ma non otterrebbero le forniture di gas. E questo l’Europa non può permetterselo nel breve periodo. D’altro canto, gran parte del gas in Europa è acquistato sul mercato spot, cioè giorno per giorno e non attraverso contratti a lungo termine. Dunque, le mancate forniture riguarderebbero eventualmente questi ultimi, a meno che non vi fosse un rifiuto generalizzato a pagare in rubli anche per i contratti spot.
E’ chiaro che l’obiettivo di Putin sia di contenere le perdite del rublo per limitare il rialzo dell’inflazione in patria.
Con le sanzioni di fine febbraio, l’istituto centrale ha imposto ha conversione dei ricavi in valuta estera per l’80%. Ciò significa che su ogni 100 euro o dollari incassati da Gazprom, già oggi 80 devono essere ceduti alla Banca di Russia in cambio di rubli. In questo modo, le riserve valutarie, in grossa parte “congelate” dall’Occidente, continuano a mostrarsi sufficienti per il funzionamento dell’economia russa, vale a dire per regolare gli interscambi commerciali e finanziari, compresi i pagamenti dei bond ai creditori stranieri. Cosa cambierebbe d’ora in avanti? Alla Banca di Russia non affluirebbero più euro e dollari con il gas. In cambio, ci sarebbe domanda di rubli immediata e pari al 100% del valore delle esportazioni di gas.
Rally del rublo temporaneo?
Rispetto ad oggi, quindi, Mosca eviterebbe un passaggio intermedio – la conversione coattiva in rubli dell’80% dei ricavi – e aumenterebbe la domanda di rubli. Per evitare disguidi legali, le sarebbe bastato imporre la conversione coattiva del 100% dei rubli. Se non lo ha fatto, optando per imporla ai clienti, è stato probabilmente per segnalare all’Occidente che le sue sarebbero armi spuntate sulle sanzioni.
Messe così le cose, ci sarebbero poche ragioni per scontare un rafforzamento duraturo del rublo. La domanda valutaria salirebbe di poco rispetto a quanto accaduto già dopo le sanzioni. A meno che Gazprom non abbia ancora convertito i suoi ricavi per l’80% richiesto, cosa che inizierebbe a fare più in là, mentre il mercato sconta che accadrà direttamente tramite i pagamenti dei clienti europei. Semmai stanno crescendo i rischi legali e la velocità con cui i governi del Vecchio Continente intendono uscire dal mercato del gas russo, provvedendo a forniture e fonti energetiche alternative. Non ci sarebbe alcun rally duraturo del rublo in vista.