Al termine di marzo, la BCE deteneva titoli di stato italiani per 382,5 miliardi di euro, in aumento di 18,7 miliardi da inizio anno. L’aspetto più importante si scorge dai numeri relativi ai primi acquisti effettuati nel corso degli ultimi giorni dello scorso mese con il “PEPP”, il piano di emergenza da 750 miliardi messo a punto dall’istituto per reagire alla crisi provocata sui mercati e all’economia dell’Eurozona dal Coronavirus. Complessivamente, l’Italia ha beneficiato di quasi un terzo (32%) degli acquisti di bond governativi, 11,9 dei 37 miliardi.
La BCE ha fatto incetta di BTp con il PEPP
Sempre a marzo, Francoforte ha irrobustito il “quantitative easing” inizialmente di 120 miliardi entro l’anno e con il PEPP ha messo sul piatto altri 750 miliardi, come detto, sempre da utilizzarsi entro il 2020. In tutto, quest’anno gli acquisti di titoli di stato, obbligazioni private, Abs e covered bond ammonteranno a un totale di 1.110 miliardi, oltre il 9% del pil nell’Eurozona. Di questi, quelli legati al PEPP non sono più vincolati alle dimensioni economiche degli stati, cioè la BCE potrebbe acquistare senza limiti, salvo quelli fissati per l’intero programma, i titoli di stato dei paesi oggetto di attacchi speculativi.
Per i BTp, buone notizie. Se lo spread, pur impennandosi ai quasi 245 punti base di ieri, non è ancora esploso a livelli di allarme, è proprio perché Francoforte sta concentrando i suoi acquisti sui nostri bond. Ma nel caso in cui non bastasse, la vera arma segreta si chiama “Outright Monetary Transactions” (OMT), il cosiddetto piano anti-spread varato dall’allora governatore Mario Draghi nell’estate 2012 e sinora mai attuato. Esso comporta acquisti illimitati dei bond dello stato richiedente per scadenza tra 1 e 3 anni. Tuttavia, presuppone che il governo faccia prima richiesta di assistenza finanziaria al Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), sottoscrivendo un memorandum d’intesa.
Come funziona l’OMT
L’OMT scatterebbe, quindi, solo nel caso in cui l’Italia decidesse di chiedere aiuto al MES e di accettarne le condizioni, che pur “leggere”, implicherebbero di fatto il suo commissariamento ad opera di un ente partecipato da tutti gli stati dell’Eurozona e di cui Germania e Francia sono i primi due azionisti per peso nel capitale e in termini di diritti di voto.
La truffa del MES e la confusione mentale del governo Conte minacciano l’Italia
Non è detto che si debba arrivare a tanto, anche se il fattore tempo non gioca a nostro favore. In teoria, con il passare dei mesi la quantità di BTp acquistati dalla BCE cresce e si riduce per contro quella detenuta dagli investitori esteri, i più timorosi verso la sostenibilità del debito pubblico italiano e che avrebbero in mano titoli italiani per circa 500 miliardi. Considerate che quest’anno la massa debitoria dovrebbe crescere di almeno 150 miliardi, ma a fronte della quale salirebbe almeno altrettanto il controvalore in mano alla BCE. Poiché alle aste del Tesoro tra i principali acquirenti figurano banche, assicurazioni e fondi italiani, entro fine anno dovremmo assistere a un’ulteriore riduzione dei BTp nei portafogli all’estero.
E molto difficilmente la BCE cesserà gli stimoli monetari dopo il 2020. Ipotizzando che il programma di acquisti nel 2021 fosse di dimensioni simili a quello di quest’anno, potenzialmente altri 100-150 miliardi di BTp finirebbero a Francoforte, a fronte di emissioni nette di debito in Italia per oltre un’ottantina di miliardi. Verosimilmente, la quota di debito detenuta all’estero scenderebbe ancora in area 450 miliardi, riducendosi a poco più di un sesto del totale. Piano piano, la BCE ci sottrarrebbe dal giogo della speculazione, mettendo in cassaforte un numero crescente di titoli di stato e sottraendoli al mercato.
Il rischio dell’effetto stigma
Questo scenario verrebbe scombinato da un eventuale deterioramento veloce delle condizioni finanziarie da qui a qualche mese. In piena emergenza fiscale, l’Italia avrà molte difficoltà a registrare domanda sostenuta per le sue emissioni voluminose di BTp. Questo potrebbe spingerci a chiedere aiuto a Francoforte, che ce lo offrirebbe solo dietro il previo prestito elargito dal MES, a sua volta frutto di un commissariamento “dolce”, ma pur sempre commissariamento. L’Italia sarebbe costretta a seguire una più ferrea disciplina fiscale, così come anche di riformarsi in ambito economico per rilanciare le proprie prospettive di crescita a medio-lungo termine. Nel frattempo, la BCE acquisterebbe BTp senza limiti, calmierando lo spread.
La salvezza passerà, quindi, sempre dall’Eurotower di Christine Lagarde, ma l’uno o l’altro scenario per l’Italia non sarà indifferente sul piano delle ripercussioni politiche, economiche e finanziarie. Una cosa sarebbe che gradualmente lo spread si spegnesse con azioni solo apparentemente ordinarie, le quali mascherano nella sostanza interventi emergenziali a favore degli stati del Sud Europa; un’altra che formalmente Roma alzasse bandiera bianca e segnalasse ai mercati di non essere più in grado di rifinanziarsi a costi accettabili. In questo secondo caso, l’effetto stigma peserebbe per il sistema Paese nei decenni. Il dolore dello spread non lo percepiremmo per l’anestesia somministrataci dalla BCE, ma il risveglio sarebbe amaro. Aziende, banche e stato pagherebbero a lungo un’elevata sovrattassa per attingere al mercato dei capitali, più di quanto non avvenga già.
Tassi zero a lungo o austerità fiscale, debito pubblico appeso alla BCE