Ci sono due dati emersi questa settimana e che meritano una certa attenzione. Anzitutto, l’Associazione bancaria italiana ha comunicato con il suo report mensile che a maggio i risparmi degli italiani in banca erano diminuiti di un paio di miliardi di euro, ma restando elevati: 1.861,7 miliardi. E da lunedì a mercoledì, il Tesoro ha tenuto la Prima Fase del collocamento del BTp Italia 2030, il bond indicizzato all’inflazione italiana. Ha raccolto 7,26 miliardi di euro, poco più della metà dei 14 miliardi della precedente emissione.
Risparmi degli italiani lontani dal debito pubblico
Definirlo flop o meno non importa. L’aspetto più interessante di questi numeri risiede nella presa d’atto che i risparmi degli italiani continuino in grossa parte a restare infruttiferi, mentre in minima percentuale sono impiegati per l’acquisto dei titoli del debito pubblico. Sarebbe intorno ai 150 miliardi di euro il valore dei BTp nei portafogli delle famiglie, almeno direttamente. E questo a fronte di una ricchezza privata di 10.000 miliardi, di cui sui 4.800 miliardi di natura finanziaria.
Nell’ultimo decennio, lo stato se n’è inventate di cose per cercare di attirare i risparmi degli italiani. Nel 2012, debuttò sul mercato sovrano il primo BTp Italia, un bond rivolto inizialmente alle sole famiglie e poi esteso agli investitori istituzionali. Due anni fa, fu la volta del BTp Futura, anch’esso un retail e con parte del rendimento alla scadenza indicizzato al tasso di crescita del PIL nominale. Nel frattempo – siamo nei mesi del governo “giallo-verde” – si è dibattuto sui cosiddetti Conti individuali di risparmio (CIR), un piano per incentivare gli acquisti di BTp tra le famiglie.
Cambiano i nomi, non i risultati: i risparmi degli italiani non prendono la via del debito pubblico. Non c’è neppure una qualche timida avvisaglia di ritorno agli anni Novanta, quando fino al 90% dei BTp erano in mano alle famiglie.
Sfiducia nel sistema Italia
Soprattutto, il cittadino medio sa cosa sia il debito pubblico. E’ un prestito che lo stato chiede ai mercati per finanziare la sua spesa pubblica. E poiché la qualità di quest’ultima diventa sempre più dubbia, mentre la quantità non accenna a stabilizzarsi, è forte il sospetto che tale debito non sia nelle condizioni di essere restituito agevolmente. Vedremo se la risalita dei rendimenti almeno attirerà nei prossimi mesi più risparmi degli italiani verso il finanziamento dello stock. I primi segnali appaiono deludenti.