Si tratta sul programma, ma le attenzioni di Matteo Salvini e Luigi Di Maio si stanno concentrando in queste ore sui nomi dei ministri da presentare al capo dello stato e, soprattutto, di chi dovrà guidare il prossimo governo che nascerà dall’intesa tra Lega e Movimento 5 Stelle. Il toto-nomi è partito e riguarda decine di caselle, coinvolgendo i due stessi leader, che se decidessero di metterci la faccia, andrebbero, Sergio Mattarella permettendo, l’uno al Viminale e l’altro agli Esteri.
Un nome su tutti andrebbe attenzionato: Claudio Borghi. L’economista della Lega è tra i preferiti di Salvini per assumere il ruolo di ministro dell’Economia. Se, però, Giancarlo Giorgetti non ce la facesse a diventare premier, sarebbe il volto più spendibile per Viale XX Settembre, in qualità di economista bocconiano, uomo certamente pragmatico e rassicurante per i mercati finanziari. Ma quante probabilità avrebbe, invece, Borghi di gestire le nostre finanze pubbliche? E sarebbe una buona notizia per l’Italia?
La fanta-economia di Claudio Borghi tra mini-bot e rottamazione del debito pubblico
Il profilo di Borghi
Iniziamo con il dire che trattasi di un esponente di punta dell’euro-scetticismo con idee all’apparenza balzane sull’economia. Sue sono alcune proposte fiscali, come i mini-bot e la rottamazione del debito pubblico. Si tratta di misure apparentemente suggestive, capaci di iniettare liquidità immediata nel sistema economico e di abbattere l’indebitamento, ma solo nella confusa fanta-finanza borghiana. Il neo-deputato leghista si mostra altresì convinto della sostenibilità persino di un debito pubblico illimitato, se garantito dalla banca centrale, in quanto ritiene che non sarebbe affatto un fardello che gravi sulle generazioni future, bensì un patrimonio che verrà loro trasferito.
Potrebbe mai guidare l’esponente di punta di una simile cultura economica il Tesoro italiano, ovvero gestire un debito pubblico da 2.300 miliardi e una spesa pubblica intorno agli 850 miliardi all’anno? Dalla sua, Borghi ha un precedente clamoroso, quanto fallimentare: l’economista anti-austerità e keynesiano Yanis Varoufakis in Grecia, rimasto in carica alle Finanze per appena 5 mesi tra il febbraio e il luglio 2015, durante i quali portò il suo paese quasi con un piede fuori dall’Eurozona e sull’orlo di un default incontrollato. Ma l’Italia non è la Grecia, assumendo dimensioni economiche ben più rilevanti e, quindi, incidendo di gran lunga di più sul resto dell’Europa. Non sappiamo se il nome di Borghi verrà seriamente proposto da Salvini o magari verrà proposto solamente per farselo bocciare da Mattarella e “subire” formalmente la scelta di un tecnico per Via XX Settembre.
L’unica certezza è che non ci potremmo permettere di affidare le nostre finanze a chi può anche avere idee originali e rispettabili, ma che certo rischierebbe di utilizzare la sua carica per compiere esperimenti sulla pelle di 60 milioni di abitanti. Passeremmo in modalità “woodo-economics” e i mercati finanziari, cattivi quanto vogliamo e pur indispensabili per finanziarci i debiti, attenderebbero il nuovo governo al varco con il lanciafiamme. Il Quirinale lo sa e non accetterà mai di soddisfare la voglia di simili avventure. Per fortuna, concorrerebbe per la stessa carica, oltre al succitato Giorgetti, anche Armando Siri, padre della “flat tax” nella Lega.
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