Altro che svolta moderata o pragmatica con la fine anticipata della presidenza Jacob Zuma e la sostituzione in corso con Cyril Ramaphosa. Il Sudafrica si accinge a compiere il passo più divisivo dalla fine dell’apartheid. Domenica, la Commissione bicamerale sulle riforme esaminerà la proposta di revisione della Costituzione presentata dai Combattenti per la Libertà Economica, una formazione di estrema sinistra alleata dell’African National Congress, il partito al potere sin dal 1994 e che fu di Nelson Mandela. Il suo leader Julius Malema punta a rivedere la Sezione 25 della Carta, rimuovendo l’obbligo di indennizzare i proprietari espropriati.
Sudafrica, nuovo presidente Ramaphosa è davvero la star attesa dai mercati?
Senonché, la misura spaventa proprio gli attuali proprietari terrieri, che temono di essere privati dei loro averi senza nemmeno avere diritto a un equo indennizzo. Un simile passo rischia di spingere il Sudafrica verso un destino simile a quello vissuto di recente dallo Zimbabwe. Alla fine degli anni Novanta, l’ex presidente Robert Mugabe decise di espropriare le terre in mano alla minoranza bianca e di assegnarle alla maggioranza nera. L’operazione decollò a partire dal nuovo Millennio ed ebbe conseguenze spaventose sull’economia nazionale.
Si stima che a causa della misura sciagurata, lo Zimbabwe abbia perso 20 miliardi di dollari tra minori esportazioni e crollo del pil. Non pochi per i poco più di 16 milioni di abitanti e un’economia con un pil pro-capite di poco superiore ai 1.000 dollari all’anno, praticamente agli stessi livelli di inizio anni Ottanta, quando Mugabe arrivò per la prima volta al potere. Sembra ironico che il Sudafrica si accinga ad imitare un esperimento fallito nel momento in cui il vicino di casa istituisce una commissione di riconciliazione per valutare l’indennizzo in favore dei proprietari bianchi espropriati, nel tentativo (sinora vano) di segnalare agli investitori stranieri l’avvio di un nuovo corso sotto la presidenza di Emmerson Mnangagwa, appena uscito vincitore di stretta misura in elezioni assai contestate e parecchio dubbie.
Molte terre già redistribuite
Il Sudafrica sta accendendo i fari su quello che sarebbe un falso problema. Che la minoranza bianca detenga la gran parte delle terre è indubbio. Si stima che, pur incidendo per circa il 7% dell’intera popolazione, possegga i due terzi delle terre coltivabili. Tuttavia, sin dal 1994, anno delle prime libere elezioni, risultano essere stati redistribuiti 11 milioni di ettari in favore dei neri tramite programmi pubblici, a cui si aggiungono circa 4 milioni di ettari di terreni acquistati dallo stato e 2,4 milioni di ettari di cessioni private da bianchi a neri.
Nuova apartheid in Sudafrica: proposta espropriazione terre ai bianchi
Se molti neri non hanno acquistato una proprietà agricola, la causa sarebbe essenzialmente la bassa disponibilità economica, ma anche i bassi rendimenti di gran parte di tali appezzamenti. Uno studio dell’Università di Pretoria ha trovato che appena il 4% genererebbe ricavi per almeno 5 milioni di rand (322.000 euro) e il ritorno medio si attesterebbe intorno al 6% del capitale, mentre i debiti contratti ammonterebbero a 160 miliardi di rand (10,3 miliardi di euro), di cui i due terzi verso le banche, corrispondenti al 30-50% del valore commerciale delle proprietà. Sarà anche scontando tali tensioni che il cambio quest’anno ha perso il 7,5% contro il dollaro, mentre il pil nel primo trimestre ha ceduto il 2,2% su base annua, ponendo fine a tre trimestri consecutivi in rialzo. Ancora relativamente contenuti i rendimenti, con i decennali all’8,7%, a premio di oltre 400 punti base rispetto ai tassi attuali d’inflazione. E, però, la revisione della Costituzione per colpire i proprietari bianchi rischia di segnare un prima e un dopo nella storia post-apartheid del Sudafrica. Sull’esempio di quanto accadde sotto Mugabe in Zimbabwe, i mercati potrebbero prendere presto nota.