Se tornassimo indietro di mezzo secolo e ci lamentassimo dei nostri “stipendi da fame” da 1.500 o 2.000 euro al mese, pari a quasi 3 o 4 milioni di vecchie lire, ci prenderebbero per pazzi. La macchina del tempo, purtroppo o per fortuna, non è stata ancora inventata, ma una cosa la possiamo sapere con certezza: un italiano medio oggi guadagna molto, molto di più rispetto a diversi decenni fa. Nel 1970, la retribuzione media di un italiano si aggirava poco sopra le 120.000 lire al mese, qualcosa come 60 euro odierni, circa 25 volte in meno di oggi.
Per l’esattezza, i nostri 10 euro nel 1970 quanto varrebbero oggi, chiaramente tenendo conto che prima del 2002 avevamo la lira? Calcolando l’inflazione di questo ultimo mezzo secolo, sarebbero pari a circa 185,50 euro. Questo significa che i prezzi si sono mediamente moltiplicati per 18,5 volte. In termini reali, quindi, possiamo ben affermare di guadagnare di più, cioè salari e stipendi sono cresciuti sopra l’inflazione, tant’è che l’Istat ci dice che nel 2018 la retribuzione netta in Italia si sia attestata alla media mensile di 1.580 euro.
Quando i redditi crescono più dell’inflazione, significa che effettivamente si diventa più ricchi, cioè si hanno a disposizione maggiori risorse da destinare ai consumi degli stessi beni e servizi e ad altri nuovi. Infatti, rispetto a 50 anni fa, un po’ tutti oggi possiamo permetterci di viaggiare, di andare in vacanza, di finanziare acquisti di beni e servizi inesistenti allora, come l’abbonamento alla pay tv, il telefonino, etc. Questo si definisce aumento del benessere. In altri termini, più l’inflazione è bassa e meglio è.
La ritirata dell’inflazione dagli anni Ottanta e l’azzeramento dei tassi
Il valore dei soldi all’estero
E nel confronto internazionale come siamo messi? Non possiamo che iniziare dalla Germania, dove i 10 euro del 1970 varrebbero oggi solamente 36 euro.
Altrove le cose sono andate meglio che in Italia e peggio che in Germania. Negli USA, 10 dollari di 50 anni fa varrebbero oggi 66,29 dollari. Nel Regno Unito, si è passati da 10 a 163 sterline, in Francia da 10 a 138,50 euro, in Australia da 10 dollari locali a 120,21, in Spagna da 10 a 222,64 euro, in Grecia a ben 756,60 euro. Ben peggio hanno fatto le economie emergenti, con la Turchia in cui 10 lire attuali equivalgono a quasi 24 milioni di lire del 1970. Per la Cina, i dati disponibili riguardano dal 1993 in poi e appaiono abbastanza buono: 10 yuan odierni sono pari a 22,15 yuan di 26 anni fa.
La visione corta con l’inflazione alta
I numeri di sopra ci sembrano un gioco, ma l’inflazione non lo è. La Germania si è mostrata oltre 5 volte più virtuosa dell’Italia per quanto riguarda la crescita dei prezzi. Qualcuno rimpiangerà i “bei” tempi, in cui la liretta ci consentiva almeno di sentirci benestanti, giusto il tempo di riempire il carrello della spesa e fare i conti con il portafoglio. Un aspetto che si sottovaluta dell’inflazione è che più essa è alta e più accorcia l’orizzonte temporale per gli investimenti. Poiché le imprese non sanno quanto ricaveranno tra 5, 10 o 15 anni, data la crescita sostenuta e instabile dei prezzi, non saranno nemmeno in grado di programmare bene come e quanto investire.
E l’alta crescita dei prezzi rende il modo di ragionare più alla giornata anche sul piano politico, trattandosi di un escamotage tipico dei governi che non riescono altrimenti a far quadrare i conti pubblici e che credono di potere per tale via stimolare la crescita economica. C’è molto poco da sorridere su quel gap tra inflazione italiana e quella tedesca, perché è stato e, in buona parte, continua maledettamente ad essere il vero spread tra le due economie, riversatosi negativamente sulla percezione che all’estero si ha dell’Italia, la cui eredità è pesante.
Perché il debito pubblico italiano affonda le sue radici nel sindacalismo esasperato