Restando in ambito internazionale, qualcuno dice che in Italia non ci sono stati attentati terroristici perché essa è la porta di accesso dall’Africa all’Europa. I dati però dicono che i richiedenti asilo sbarcati in Italia non sono stati coinvolti in vicende di terrorismo che invece hanno visto protagoniste le seconde generazioni ossia i nuovi francesi e i nuovi belgi. La connessione tra sbarchi e terrorismo è quindi un altro luogo comune della permanente compagna elettorale italiana? Quale è il vostro punto di vista?
– G.T.: Io ho una precisa impressione, che ho difficoltà persino ad esternare.
Credo che (con tutti gli scongiuri del caso), in Italia non ci siano stati ad oggi attentati terroristici di matrice islamista per la presenza del Vaticano. L’ISIS è tutto, tranne che un gruppo di zoticoni beduini, come siamo portati spesso a pensare per la brutalità dei suoi atti. Sa che attaccando l’Italia, otterrebbe come risultato una reazione furente della Chiesa Cattolica, che per quanto non sia ufficialmente un potere temporale, ha la capacità ancora oggi di fare leva sui sentimenti di un miliardo di fedeli sparsi tra Europa e Americhe, nonché sui loro governi. Se il Pontefice, ad esempio, iniziasse a invocare la mano pesante contro i fiancheggiatori del terrorismo islamista, la pressione sui governi occidentali per una reazione più veemente contro l’ISIS e i suoi sostenitori sarebbe fortissima. E con Donald Trump alla Casa Bianca, significherebbe forse per gli islamisti siglare il proprio documento di morte.
-C.P.: Certo, si tratta di propaganda culturale innanzitutto (quella che ha gli effetti peggiori nel lungo termine) e va da sé anche elettorale, basata su alcuni dispositivi-base: il primo è la creazione del nemico – un tempo, però, il nemico era grandioso, potente, ora è invece il dannato della Terra, la domanda è: non è troppo facile vincere contro i disperati? Il secondo è la creazione della ‘paura’: non devono far paura le leggi sul lavoro che sottraggono diritti; non devono far paura i tagli alla sanità o alla scuola, cioè morire più facilmente ed essere genericamente più stupidi; no, non dobbiamo temere tutto questo che rovina la qualità delle vite nostre e dei nostri figli; no, perché è necessario, perché c’è crisi e così via; noi dobbiamo temere l’uomo nero, quello delle fiabe per i bambini e basta.
Tornando alla questione: il nodo è appunto la de-culturazione e il fatto che, soprattutto le seconde generazioni, si accorgono della truffa. La distinzione in classi, nei paesi ‘multiculturali’, è sempre anche una distinzione di razza: un francese di origine algerina, ad esempio, ha gli stessi diritti del parigino del Quartiere Latino, biondo e con gli azzurri, ma soltanto sulla carta; nella vita reale, non può aspirare, se non in rarissimi casi, ad un’ascesa sociale. Questo crea il terreno fertile per una ribellione inquadrata religiosamente. Cercare i motivi socio-culturali non significa, ovviamente, dire: ‘fanno bene!’, ma semplicemente inquadrare dov’è che si annida il vero problema.
Nelle prossime pagine le altre domande e risposte dell’Intervista doppia di IO