Il nuovo decreto legislativo sulla fiscalità internazionale, approvato dal Governo in esame preliminare, nell’ambito della c.d riforma fiscale, stravolge l’agevolazione prevista per i c.d. lavoratori impatriati. Il riferimento è a quei lavoratori che decidono di trasferire la propria residenza fiscale in Italia per lavorare da dipendente o autonomo. Cambiano i requisiti di accesso, il periodo di monitoraggio fiscale nel rispetto del quale è riconosciuta la detassazione (sarebbe più corretto parlare di imposizione), viene anche introdotto un limite reddituale entro cui opera il regime fiscale agevolato.
Tra i requisiti più stringenti di nuova introduzione c’è quello che riguarda il cambio di datore di lavoro.
Vediamo nello specifico di cosa si tratta e perchè rende molto più difficile accedere al nuovo regime agevolato.
L’agevolazione fiscale per i lavoratori impatriati
L’art.5 del D.Lgs sulla fiscalità internazionale introduce un regime fiscale impatriati del tutto nuovo e soprattutto meno conveniente, rispetto alle attuali previsioni di cui all’art.16 del D.Lgs 147/2015.
Come si legge nel dossier ufficiale, il nuovo regime si applica ai contribuenti che trasferiscono la residenza fiscale in Italia ai sensi dell’articolo 2 del TUIR e che percepiscono redditi di lavoro dipendente, redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente e redditi di lavoro autonomo.
Per tali contribuenti è previsto un abbattimento dell’imponibile fiscale del 50% su un ammontare di reddito non superiore a 600.000 euro al ricorrere delle seguenti condizioni:
- i lavoratori non devono essere stati fiscalmente residenti in Italia nei tre periodi d’imposta precedenti il predetto trasferimento e devono impegnarsi a risiedere fiscalmente in Italia per almeno cinque anni;
- l’attività lavorativa deve essere prestata per la maggior parte del periodo d’imposta nel territorio italiano;
- i lavoratori devono essere in possesso dei requisiti di elevata qualificazione o specializzazione come definiti dal decreto legislativo 28 giugno 2012, n. 108, e dal decreto legislativo 9 novembre 2007, n. 206;
- ecc.
Nei fatti, cambia tutto: oltre ad una riduzione della percentuale di detassazione, rispetto al regime attualmente vigente, si introducono requisiti più stringenti per accedere all’agevolazione, quali un periodo più lungo di residenza fiscale all’estero del contribuente (tre anni contro 2) nonché di permanenza in Italia dopo il rientro (cinque anni contro 2 attuali).
Impatriati. Serve un datore di lavoro diverso per risparmiare sulle tasse (imposte)
Tra i nuovi requisiti previsti ai fini dell’accesso al nuovo regime fiscale, ce n’è uno che sta facendo discutere più di tutti gli altri. In particolare, si richiede al lavoratore un nuovo rapporto di lavoro. Nel senso che il reddito oggetto di agevolazione deve essere riconducibile a un rapporto di lavoro con un soggetto diverso dal datore di lavoro presso il quale il lavoratore era impiegato all’estero prima del trasferimento e che non faccia parte, comunque, del suo stesso gruppo.
Si tratta di una limitazione che opera in senso assoluto e che impatterà sulla quasi totalità dei lavoratori che in pendenza di rapporto di lavoro all’estero avrebbero voluto trasferirsi in Italia.
A ogni modo, con la residenza anagrafica in un comune italiano entro fine anno, il lavoratore impatriato ha diritto ai vecchi sconti. Con gli attuali requisiti.
Riassumendo.
- Il decreto legislativo sulla fiscalità internazionale stravolge il regime fiscale previsto in favore dei lavoratori impatriati;
- si richiede al lavoratore impatriato un nuovo rapporto di lavoro, deve cambiare il datore di lavoro;
- con la residenza anagrafica in un Comune italiano entro il 31 dicembre si ha diritto al vecchio regime agevolato.